VINICIO CAPOSSELA: Heimat - ll paesaggio del mondo perduto dell’infanzia. Il mito che appartiene a tutti a cura di Silvia Calzolari Dopo il successo del suo ultimo libro e in occasione dei 25 anni di carriera VINICIO CAPOSSELA arriva sul grande schermo con il film “VINICIO CAPOSSELA - NEL PAESE DEI COPPOLONI” nelle sale martedì 19 e mercoledì 20 GENNAIO 2016 Un film prodotto da laeffe in associazione con PMG e LaCupa e distribuito nei cinema italiani da Nexo Digital.Regia di Stefano Obino.Testi, parole e musica di Vinicio Capossela. Produzione esecutiva: Letizia Celardo. Direttore della fotografia: Aldo Anselmino. Montaggio: Valentina Andreoli. Produttori: Riccardo Chiattelli per laeffe – Gruppo Feltrinelli, Roberto Ruini per PMG – Pulsemedia Group, Luca Bernini per La Cupa. Con il contributo di Medimex. Media partner Radio Deejay, MYMovies e Librerie Feltrinelli. “VINICIO CAPOSSELA – NEL PAESE DEI COPPOLONI” è un viaggio cinematografico – geografico, musicale e fantastico – narrato, cantato e vissuto in prima persona da Vinicio Capossela, in quel territorio giacimento di culture, racconti e canti che hanno ispirato l’ultimo romanzo dell’artista e da cui trae linfa il materiale del suo prossimo disco di inediti. Un mondo che la Storia ha seminterrato, ma che fa sentire l’eco e il suono se gli si presta orecchio ci si dispone al sogno. Diretto da Stefano Obino, si svolge in Alta Irpinia, in “quelle terre dell’osso” in cui “un paese ci dice di tutti i paesi del mondo”, tra trivelle petrolifere e case abbandonate, pale eoliche e vecchie ferrovie, boschi, animali selvatici e paesaggi incontaminati. Sono questi i luoghi in cui l’ispirazione letteraria e musicale di Vinicio Capossela è diventata realtà, restituendo il ritratto di un’Italia forse perduta e dimenticata, ma che ancora oggi vuole raccontare la sua storia e la sua energia: le voci, i volti, i personaggi, le tradizioni popolari, gli sposalizi, le musiche che percorrono le vene dei sentieri della Cupa, le litanie delle mammenonne, le cumversazioni in piazza, le chiacchiere dal barbiere, le passeggiate sui sentieri dei muli, la Natura selvaggia e resistente. Un luogo immaginario che diventa reale, uno spazio fisico che si trasforma in pura immaginazione. Un’occasione unica per seguire il “musicista viandante” Capossela in questo viaggio a doppio filo sul fronte della musica e del racconto in un mondo che affronta ormai da 15 anni, accompagnati da una colonna sonora originale che anticipa cinque brani inediti del suo prossimo lavoro discografico, “Canzoni della Cupa”, la cui uscita è prevista per il 2016, oltre a includere performance live di classici come “Il ballo di San Vito” e “La marcia del camposanto” fino al tributo a Matteo Salvatore, “straordinario cantore dello sfruttamento nel latifondo meridionale”. * * * Il viandante Vinicio Capossela, (stortonome Guarramon - dal torrente Guarramone - soprannome che si è guadagnato come è usanza di queste terre) narra e canta, conducendoci per mano in un’altra dimensione. Un luogo reale, svuotato, corroso dal tempo ed abbandonato, ove tutto si è consumato in meno di un secolo, eppur ricco di memoria, di storie d’appartenenza, di miti senza tempo, di natura viva e ricca di magia. - “Vado cercando musica e musicanti, i canti che seguono rotte antiche e vagano il mondo. Con la falce mieto i racconti vostri, li raccolgo in fascine per bruciarli ove non arde più brace, se mai possano ancora scaldare”. - “AL PADRETERNO LE COSE INUTILI SONO SEMPRE VENUTE BENE” e Vinicio Capossela le osserva, ne restituisce il valore già intrinseco, trascendendo e ridonando identità, preservando luoghi di purezza dell’infanzia. - “CHI SIETE, A CHI APPARTENETE, COSA STATE CERCANDO?”, ripete costantemente il narratore Vinicio. Il “conoscere se stessi passa attraverso gli altri” e il viandante si fa mezzo, mentre i volti ed i personaggi ci restituiscono ricordi e racconti nei quali tutti possiamo immedesimarci e “riconoscerci”. Il cammino lento, pregno di silenzi nell’ascolto di luoghi e persone, diviene suono fra eco di vissuti, canti ed immagini straordinarie, attraverso elementi naturali come fuoco, vento, acqua, luna, tramonti, colline e distese che sanno ancora di grano, uccelli e cani che si muovono con e accanto all’essere umano (tra i personaggi Peppe Matalena - violinista, Armando Testadiuccello, La Banda della Posta, Ciccillo Di Benedetto - storico ristoratore e tenore, Giovanni Sicuranza - barbiere), pur in una comunità assente e ormai smembrata, ove il rintocco della campana scandisce un tempo fermo, muovendo e smuovendo l’invisibile e il sentimento del sacro. Gli elementi artificiali, come la ferrovia e la trebbiatrice acquistano fascino e suggestione non solo perché legati alla Storia, ma per l’effetto immaginifico ed evocativo. - Vinicio Capossela: “La ferrovia Avellino-Rocchetta è stata una delle prime grandi opere dopo l’unità d’Italia (risale al 1890). Costruire linee interne significava restituire il paese al resto del mondo. Un progetto molto importante per cui si sono molto battuti De Santis e Giustino Fortunato. La storia ne decreta questo spostamento di flussi economici, il cambio d’uso. La ferrovia veniva costruita in armonia sino a divenire parte del paesaggio naturale stesso.” - E ancora Vinicio racconta: “Esiste il Paese dei Coppoloni? Da qualche parte ci deve essere (deve esistere a partire dal titolo stesso e visto che abbiamo creato questo film) e in qualche modo ci stiamo andando. Sono nato in Germania e, siccome da piccolo me ne vantavo, allora userò una parola tedesca adatta più a definire la sensazione: Heimat, termine femminile materno. Un sentimento per cui ci si sente a casa, una casa da cui si è separati, perduta. Da spaziale ci si sposta quindi su un piano temporale: Il paesaggio del mondo perduto dell’infanzia. La mia Heimat non è solo la mia infanzia, ma quella del mondo, del mito che appartiene a tutti. Rispetto al tempo siamo tutti emigrati.L’emigrazione avviene in tutti. L’uomo, come tutto, cambia continuamente, migrammo dall’infanzia e continuamente crescendo”. “L’unica possibilità di abitare un luogo è il racconto, stare nello stesso posto è il racconto ed è un giacimento molto grande. Mi piace essere viandante anche della lingua, la mia infanzia è trascorsa con il racconto. Il racconto è il mezzo naturale, scritto o orale, il canto. Matrice locale anche dialettale, la storia che l’ha ordinato non va perduta. Questi canti sono nati non per essere registrati, hanno accompagnato la ritualità. Nell’istante in cui la ritualità cessa rimangono separati dalla realtà che li ha originati, ma restano nello loro forza evocativa. Ho cercato di lavorare su questo patrimonio anche scrivendo canzoni che in qualche modo attingessero a questo giacimento. Le canzoni della Cupa, iniziate dieci anni fa, trovano il primo guaito nella colonna sonora di questo film.” - Stefano Obino, regista del film documentario che ci regala sequenze, scorci e luci di grande suggestione e magia, afferma: “Nel seguire Vinicio, lungo queste valli, questi paesi, questi vicoli anche dentro di me è risuonato un ricordo che può essere legato alle mie terre, a quando ero bambino al fatto che un po’ ovunque l’Italia ha sempre una parte di modernità che si sta sviluppando, ma con grande bagaglio di ricordo e di memoria. Il paese dell’eco risuona di canti.E’ stata una scoperta fantastica. Avevo letto il libro, ma questo è il film ed è altro, è entrare in un percorso reale, ma al contempo molto magico”. “Il copione era Vinicio che ci ha portato dentro queste dimensioni e ha creato un filo che si è sviluppato in evoluzione dal racconto alla musica del nuovo disco, ai personaggi che abbiamo conosciuto. Magicamente si è creata la scena”. “E’ stato utlizzato un archivio di grande memoria visiva sulla costruzione dell’Italia che sarebbe bello recuperare maggiormente.” Inoltre è stato proposto in anteprima lo splendido ed originale video, con la regia di Leich Kowalski, basato sulla canzone “Il Pumminale” (inserita nel nuovo album in uscita “Le storie della Cupa”). “Pumminale significa licantropo (cane mannaro) ed è legato al mito”. E’ una delle creature che rappresentano il lato oscuro dell’essere umano. “Storie del bosco, nel rapporto diretto con la terra madre che comprende gli animali e gli elementi naturali, una manifestazione di unità che è anche divina”. Un viaggio che ci conduce nelle particolari atmosfere notturne alla ricerca del nostro animale totemico, nella ricerca di noi stessi. Silvia Calzolari
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(anteprima "Amy - The girl behind the name" di Asif Kapadia - 18 luglio 2015 - ARCOBALENO FILM FESTIVAL - MILANO) A 4 anni dalla scomparsa della "white soul" Amy Jade Winehouse (nata a Londra - borgo di Enfield, quartiere alla periferia nord di Londra - il 14 settembre 1983 e scomparsa a Londra il 23 luglio 2011), uscirà nelle sale italiane il 15, 16 e 17 settembre 2015, dopo il successo al Festival di Cannes, il docu-film “Amy - The Girl Behind The Name” del regista Asif Kapadia (già noto per il film "Senna"), distribuito in Italia da Nexo Digital e Good Films. Il regista Asif Kapadia, come Amy, è cresciuto nei quartieri della North London, anche se non "fan sfegatato" (come egli stesso afferma) della Winehouse possiede tutti i suoi album e, quando il produttore James Gay-Rees lo contatta per il progetto proposto da David Joseph (presidente ed amministratore delegato della Universal Music UK), "sapeva che con lei" non ci sarebbe stato "spazio per la noia". Il film documentario ricerca ed "assembla" con cura immagini (contestualizzate) dall'infanzia sino alla morte della cantautrice, video amatoriali e non, inediti ed editi, testimonianze ed interviste (Mitchell Winehouse padre di Amy, la madre Janis Winehouse, amiche ed amici, l'ex marito Blake Fielder, la guardia del corpo Andrew Morris, manager, produttori come Salaam Remi e Mark Ronson, musicisti e cantanti tra cui Tony Bennett, medici ed assistenti) per ricostruire il breve ed intenso percorso di vita di Amy. Amy Winehouse di famiglia ebraica (padre tassista e madre infermiera) cresce ascoltando diversi generi di musica (dalle Salt-n-Pepa a Sarah Vaughan). Ama il jazz e inizia a cantare come professionista all'età di sedici anni. Ha debuttato nel mondo della musica pubblicando l’album Frank (Island, 2003), che ha riscosso un buon successo di pubblico e critica. Nel 2007 il vero successo, con l’uscita di Back to Black nelle classifiche internazionali (con Rehab, Love Is a Losing Game- nel film viene proposta l’emozionante interpretazione live al Mercury Prize). Il secondo album ha ottenuto un successo enorme, portando Amy alla vittoria di cinque Grammy Awards. I suoi testi e la sua musica sono ricchi di intensità e altezze, trasgressione, inquietudine, sarcasmo ed ironia, nell’indimenticabile voce jazz che l'ha contraddistinta. Mentre il mondo cominciava a considerarla una star, l’artista mostra di avere problemi legati ad abuso di droga e alcool, oltre a disordini alimentari (anoressia e bulimia) e sentimentali che l'hanno portata a ricoveri per disintossicarsi e forti depressioni sino alla prematura morte. Nell'ultimo suo concerto a Belgrado le sue condizioni erano evidenti. Amy Winehouse aveva 27 anni ed è dunque andata ad aggiungersi a quella cerchia di artisti colpiti dalla cosiddetta Maledizione dei 27, assieme a Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Brian Jones, Kurt Cobain, i "maledetti" del rock morti a 27 anni. In "Amy - The girl behind the name" chiara ed espressa l'intenzione di cercare un equilibrio che non disturbi troppo l'emotività pubblica (già fortemente provata) e non faccia "teatro del dolore". Una partecipazione e al contempo un distacco voluto, il non "intromettersi" lasciando parlare i "protagonisti" e soprattutto testi e musica di Amy. Questo è un film su una persona che desidera amore e non sempre ne riceve. Amy è un film sull’amore» dichiara Asif Kapadia. Ne esce un "quadro" che sottolinea la spaccatura interiore di una ragazza talentuosa, con le proprie fragilità familiari e amorose (matrimonio e divorzio da Blake Fielder), catapultata improvvisamente in un mondo di successo oltre le sue aspettative, che la schiaccierà inesorabilmente, portandola alla solitudine ed alla devastazione. Il film pone al centro, in una costante “inquadratura”, Amy ad ogni età ed in ogni contesto pubblico e privato (non so se in vita ne sarebbe stata felice) ed i suoi testi e la sua musica, ove tutto è chiaro, sin dall'inizio. Amy: «Non penso di aver saputo cosa fosse la depressione. Sapevo di sentirmi strana a volte, ero diversa. Penso sia una cosa che capita ai musicisti. È per questo che scrivo musica. Io non mi sento, come dire, una persona incasinata. Ci sono un sacco di persone depresse che non hanno una via d’uscita. Non possono prendere in mano una chitarra, suonarla per ore e sentirsi meglio». Amy si esprime in catarsi, è i suoi testi e la sua musicoterapia. La sua voce inconfondibile, potente ed unica, ricca di sfumature profonde e di altezze calde e vibranti, è il suo mezzo utile. Chi l'ascolta sente e “sa” inevitabilmente da subito, il suo valore, la sua sofferenza e la sua autenticità. Il pubblico sapeva e ha sempre sentito. Il successo non è un caso. Il dissenso del padre a questo film, può avere motivazioni personali ed emotive, ma s’intuisce emozionalmente che sono assenti "pezzi" fondamentali del modo di essere della Winehouse (e forse di verità occultate da chi ha vissuto accanto a lei) e di una profonda analisi psicologica; al contempo è da apprezzare la capacità del regista e della produzione di voler tentare un’oggettività non facile, seppur frammentata, consegnando la responsabilità nelle mani di chi ne parla nelle interviste e ne ha dato autorizzazione (il film è privo di voce narrante). Un altro aspetto importante da rilevare è che nel corso della sua vita Amy Winehouse è stata un’anima generosa, ha fatto molta beneficenza ad enti, in particolare quelli per l’infanzia. - Anche se questo lato della sua personalità non è mai stato ben noto al grande pubblico, in tutto sia nella comunità artistica che nella comunità caritatitistica era conosciuta per la sua generosità ed è stato anche conosciuto come un "soft touch". "Chiedi a Amy e lei lo farà" era una frase comune tra la comunità di carità nei riguardi della Winehouse - Non è un caso l’affermazione a suo riguardo: "Voleva salvare gli altri, ma non riuscì a salvare se stessa." Questa piccola affascinante straordinaria donna, così intensa, profonda e sensibile fosse fisicamente sopravvissuta, riuscendo a superare quell'esatto momento definitivo, negli anni a seguire avrebbe maturato quella consapevolezza che l’avrebbe portata, se non a bastare a se stessa almeno a provarci fermamente. Come ben si sa, i se e i ma non possono contrastare la dura realtà già avvenuta…Il divenire e le scelte personali sono fatto, sicuramente non assolvono business e responsabilità inconsapevoli o consapevoli altrui. Cosa si aspettavano business e certo pubblico, mentre la sua vita stava andando in pezzi? Sempre troppo, rispetto alla fragilità d'anima e ottenendo comunque, anche dopo la sua fine fisica, molto e ancora di più. Amy Jade Winehouse: "I don't think I'm gonna be at all famous. I don't think I could handle, I would probably go mad." - "Non credo che diventerò famosa. Non penso che riuscirei a gestire il successo. Probabilmente impazzirei". Riporto con tremito le parole di Tony Bennett il cui video in duetto è presente nel film: "Era in difficoltà in quel momento perché aveva un paio di impegni, e lei non riusciva a tenere il passo. Ma ciò di cui la gente non si rendeva conto in quel momento è che lei sapeva, sapeva che era in un sacco di guai, che non stava vivendo. E non era la droga. Era alcool verso la fine... è stata una cosa triste perché lei era l'unica cantante che cantava davvero, quello che io chiamo il "modo giusto", perché era una grande cantante jazz-pop... Era davvero una grande cantante jazz, una cantante jazz vera…" …e la musica di Amy continua…immortale... Silvia Calzolari VINCENT VAN GOGH Un nuovo modo di vedere NELLE SALE SOLO PER UN GIORNO – MARTEDI’ 14 APRILE 2015 Milano - Arcobaleno Film Center| - Viale Tunisia 11 | - Martedì 7 aprile h 11.0 Recensione a cura di Silvia Calzolari Siamo accolti cordialmente ad Arcobaleno Film Center (Milano) per l'anteprima (7 aprile 2015) della proiezione del film "VINCENT VAN GOGH - Un nuovo modo di vedere", che sarà trasmesso in contemporanea mondiale solo per un giorno (14 aprile 2015) in numero limitato di sale in tutto il mondo. Ci viene offerta la possibilità, prima della proiezione, di sperimentare la realtà virtuale immersiva (VR) "Inside Painters", progetto sviluppato da Oniride srl, che per l'occasione ha scelto il dipinto "Notte stellata" di Vincent Van Gogh. Ricostruzione tridimensionale, fedele all'opera, di grande suggestione e bellezza. Luci, volumi e spazi che, accompagnati da effetti audio, avvolgono, stupiscono e affascinano, permettendoci di camminare fra le pennellate dell'artista. Il film "VINCENT VAN GOGH - Un nuovo modo di vedere", diretto da David Bickerstaff, è un omaggio al grande artista, in occasione del 125° anniversario dalla scomparsa. Due anni di produzione, in collaborazione con il Museo Van Gogh di Amsterdam e nel suo nuovo allestimento. Curatori, storici dell'arte, restauratori, artisti, Vincent Willem van Gogh (pronipote di Theo Van Gogh, fratello di Vincent), Dominique-Charles Janssens (Presidente dell'Istituto Van Gogh) e Axel Rüger (direttore del Van Gogh Museum) ci prendono per mano tra gallerie e magazzini del museo (spesso inaccessibili ai visitatori) raccontandoci e coinvolgendoci, nella visione e nell'ascolto, tra capolavori dell'artista, lettere, disegni e appunti. L'attore Jamie de Courcey, grande somiglianza fisica con il geniale artista, interpreta magistralmente e con intensità il ruolo, regalando forti emozioni nella lettura delle lettere e attraversando il cammino di Vincent (Zundert, 30 marzo 1853 - Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) tra Olanda, Francia e Inghilterra. Van Gogh morì a soli 27, dopo una produzione artistica di solo 10 anni, soprattutto disegni e acquerelli, "450 opere le produsse negli ultimi cinque anni" di vita prima di suicidarsi. La più completa fonte per comprendere vita e modo di concepire l'arte di Van Gogh è la raccolta di lettere. Grazie alla corrispondenza (più di 600 lettere) fra Vincent e il fratello Theo (resa pubblica nel 1913 da Johanna van Gogh-Bonger, vedova di Theo) e altre lettere è stato possibile dare voce autentica all'uomo-artista, superando preconcetti, incomprensioni e falsi miti che hanno aleggiato attorno alla sua figura. Theo (mercante d'arte) fornì a Vincent sostegno finanziario, morale e affettivo per gran parte della sua vita. Definire "documentario" o visita guidata questa proiezione (in lingua originale e sottotitolata) sarebbe estremamente limitante. Ed è quindi un "nuovo modo di vedere" che ci viene donato: la concezione-essenza di Van Gogh rivelata e, in riflesso, la nostra visione/emozione umana di semplici spettatori e fruitori del suo messaggio di vita-arte. Van Gogh non era un pittore "lunatico che lanciava il colore", non era un genio isolato, ma anzi sempre alla ricerca di una fratellanza artistica (van Rappard, Gauguin - i dipinti dei Girasoli), di motivazione artistica e non è affatto vero che non vendette opere durante la sua vita. Il regista David Backerstaff afferma: "Vincent non era un pazzo o un genio solitario: era un uomo di pensiero profondo, desideroso di comprendere l'essenza di fare arte. Attraverso le sue lettere si capisce che aveva fame di interagire con il mondo, in particolare con la natura e con le persone comuni, quelle della vita di tutti i giorni". Dopo l'esperienza di mercante d'arte, tra studi interrotti e nuove attività, Vincent fu anche zelante insegnante e predicatore religioso fra le miniere in Belgio. Ritraeva con partecipazione emotiva ed empatia umili lavoratori della terra e l'estrema povertà dei minatori. La sua profonda umanità emerge anche nel rapporto amoroso con Clasina Maria Hoornik detta Sien, madre di due figli, con la quale convisse. Scrisse al pittore van Rappard: «Quando la terra non viene messa alla prova, non se ne può ottenere nulla. Lei, è stata messa alla prova; di conseguenza trovo più in lei che in tutto un insieme di donne che non siano state messe alla prova dalla vita". Gli autoritratti (come espressione costante di ricerca nel suo dipingere), i ritratti, I mangiatori di patate, I Girasoli, I cipressi, Iris, Agostina Segatori, La camera di Vincent ad Arles, La casa gialla, Campo di grano con voli di corvi, grazie alla splendida fotografia e analisi contestualizzata del film si rivelano in tutta la loro pienezza spirituale e capacità comunicativa. Tra ossessione, lavoro artistico intenso/puro e vitale, estrema sensibilità, ricerca di serenità ed essenza, difficoltà, stenti e malattia, sino alla voluta morte, Vincent Van Gogh nel suo viaggio "libero" d'uomo-arte, attraverso questa proiezione che aggiunge immortale al già immortale, arriva nel nostro profondo illuminando. Posso affermare con totale sincerità che sensazioni dense e commozione sgorgano spontaneamente. Un film che consiglio a tutti, una bellezza che insegna e riempie DEVE essere gustata a tutte le età. Silvia Calzolari "Sandra Zoccolan non si spoglia se non del suo golf, ma nella sua abilità attoriale nel gesto, nella parola e nel canto ci dona il culmine, esplode e fa sentire l'esplosione di un orgasmo vibrante. Sottolineo non ci vogliono cinquanta sfumature di grigio per esprimere tutto questo…servono professionalità e talento… e Sandra è totalmente abile e il pubblico sente tutto e a fondo." ATIR Teatro Ringhiera Piazza Fabio Chiesa / via Pietro Boifava 17 - Milano ATIR TEATRO RINGHIERA PER UNA DONNA di Letizia Russo regia Manuel Renga supervisione artistica Serena Sinigaglia con Sandra Zoccolan produzione ATIR Teatro Ringhiera nuova produzione Recensione a cura di Silvia Calzolari DOMENICA 15 FEBBRAIO 2015 – ORE 16 - Si arriva all'Atir (M2 verde sino ad Abbiategrasso Chiesa Rossa) Teatro Ringhiera, periferia di Milano, ove già si comprende l'intenzione: dare vita ad un teatro per zone disagiate, coinvolgendo il sociale. Io già esulto, idealmente, pensando, comprendendo e comunque sperando che al ritorno io non sia sola a sentire i miei passi, non ci sia buio e ci sia gente…quell'inutile paura. Arrivata al Teatro Ringhiera, musica jazz di sottofondo, un'accoglienza gioviale e sincera. Si intuisce la bellezza libera, aperta e vibrante, una passione teatrale d’unità. Numeroso il pubblico. "Per una donna" è un monologo, un testo intenso in echi interiori, nella voce, nel canto e nel gesto di Sandra Zoccolan. Immediatamente attira la sua professionalità che ci coinvolge profondamente. Una comunicazione interiore ficcante e autentica. Luci soffuse ed efficaci. Scenografia d'intricati fili a terra su cui cammina l'attrice, metafora della mente e della percezione emozionale, razionale ed emotiva, e microfoni plurimi in circolo che esprimono la chiusura e l'amplificazione personale che si muove verso l'esterno (o tenta) e dando voce all'anima. E un secchio ove bruciare ogni foglio…ogni foglio dell’inutilità. Sandra Zoccolan, splendida nella recitazione, si muove nel testo. Una donna, simile a tante donne, che in un improvviso e inaspettato desiderio muta. Il cambiamento pregno di domande senza risposte, nei sì e nei no imposti dalla morale comune o educazionale, nella consapevolezza che ogni scelta difforme può essere disgregante e deflagrante nella sofferenza. Sandra ci travolge d'impeto nell'esprimere il libero conscio ed inconscio. Parole e silenzi, elucubrazioni e realtà in divenire, che evocano e rievocano. La passione che trascina e che è estasi, esplosione e liberazione naturale ed istintiva, nel prezzo immediatamente sentito-intuito e successivo, quella scelta ipotetica e la non scelta. Un cambiamento in atto che è presa di coscienza d'indole, naturalità e bisogno che mai può essere compreso dal contesto sociale. Una donna ama ed è amata da suo marito, vivendo l'abitudine matrimoniale (quasi senza sforzo apparente), per poi evolversi in altro: amare una donna. Vivere o immaginare un percorso imprevedibile, provando attrazione totale per il proprio genere, senza saperne il motivo, ma sentendo. Lo spettacolo ci conduce in un'atmosfera d'ansia costante. L'io della protagonista espelle le sue contraddizioni e il pubblico assorbe. Nell'autocritica e nell'ironia, la protagonista sa farci sorridere incalzando, chiedendo, proponendo, immergendosi nell'interiorità e stimolando la nostra immedesimazione. Sì o no? Voglio conformarmi o seguire il mio desiderio? Esiste il timore, esiste il costante dire lo so sbaglio e il dire non so, vorrei ma non dovrei. Nel finale aperto che diviene, sussulta l'indole che non può e non potrà mai essere differente e mai sarà uguale a prima. Da evidenziare il momento di eros. Sandra Zoccolan non si spoglia se non del suo golf, ma nella sua abilità attoriale nel gesto, nella parola e nel canto ci dona il culmine, esplode e fa sentire l'esplosione di un orgasmo vibrante. Sottolineo non ci vogliono cinquanta sfumature di grigio per esprimere tutto questo…servono professionalità e talento… e Sandra è totalmente abile e il pubblico sente tutto e a fondo. Posso dire con gioia di aver assistito ad uno spettacolo emozionante, coinvolgente ricco di femminilità e, azzardo, in spinta femminista, in quel libero che ogni essere tenta perché lo deve a se stesso. Grazie a tutto lo staff e grazie alla splendida e grande Sandra Zoccolan. Presto "Per una donna" sarà a Roma. Silvia Calzolari "…MENTRE RUBAVO LA VITA…!" Il cilindro dorato di paillettes…un segno…della piccola ape furibonda È immediato l'impatto emozionale nella crescente potenza dI suggestione dello spettacolo di Giovanni Nuti e Monica Guerritore, accompagnati da una strepitosa band composta da sei elementi: Stefano Cisotto (direzione musicale e tastiere), Massimo Ciaccio (basso), Daniele Ferretti (pianoforte), Massimo Germini (chitarra), Sergio Pescara (batteria) e Simone Rossetti Bazzano (violino). Le poesie di Alda Merini, musicate e cantate dalla grande voce di Giovanni Nuti (che per 16 anni ha avuto un rapporto strettissimo e profondo con la poetessa) e il canto femminile unico ed intenso di Monica Guerritore ci donano generosamente l'anima della poetessa dei Navigli, in un percorso che esplode il suo senso libero. Nuti-Guerritore fluiscono, divengono, riportando alla vita l'energia Merini, in quella sua espressione non contenuta di una ricchezza illimitata, nel messaggio preciso di gioia nella trasfigurazione del dolore e nel suo essere oltre. “Voglio essere ricordata come la poetessa della gioia perché la mia vita l’ho vissuta tutta, anche il suo inferno” (Alda Merini). Vibrante musica, canto, colori, luci, video (di Lucilla Mininno e Mimma Nocelli che cura anche la regia) - performing art, concorrono e confluiscono in sinergie perfette che avvolgono e trasportano nella magia, toccando e sconvolgendo la nostra percezione sensoriale cerebrale ed interiore. Proiezioni di donne che volano, ofelie e piogge di petali, immagini forti, surreali e sognanti che "bombardano" lo spettatore amplificano e suscitando un'alternanza di pianto e sorriso. Sul palco e scendendo dal palco interagendo con il pubblico, il carisma Nuti-Guerritore ci avvolge in una danza d'ascolto fluttuante, visiva e non-visiva, nei colori multiformi dell'anima. Quel multiforme della Merini, nei suoi ossimori, che va oltre il corpo che la ingabbia, ma che al contempo ama fortemente sino a quell' "immergersi nell'anima e vedere l'universo" - "Io trovo i miei versi intingendo il calamaio nel cielo". Da "A me piacciono gli anfratti bui / delle osterie dormienti" in "Le osterie", ove chiara e autentica si mostra la personalità generosa e profondamente umana della Merini, a canzoni commoventi come "L'albatros", "Il violinista piange", alla rossa e travolgente passione nel vibratile "Il pelo della mia anima è così bianco e così delicato che persino un coniglio trema" in "Il bacio" sino all'ironia più "pungente" e giocosa in "La zanzara". La musica di Giovanni Nuti ci cattura, in quell'attrazione inesorabile di note e voce, attraverso una capacità sensibile e ampia di arrivare intensamente nel profondo, emoziona, turba, commuove e/o nel ritmo incalzante spinge alla danza e alla leggerezza. Monica Guerritore in-canta, ineguagliabile (nessuna avrebbe potuto rendere meglio quella personalità "violenta, sensuale e spirituale" attraverso voce e gesto), nella meraviglia di cambio d'abiti che esprimono il gioco dell'indossare-stupire e divertendosi tanto amato dalla Merini. Ecco quindi che dalla penombra a passi lenti e nel gesto Monica Guerritore ci appare in tutta la sua femminilità e fascino, con abiti sensuali e divertenti, con un cappello a cilindro di paillettes d'oro (trovato per caso e troneggiante nel buio di un camerino a Napoli come ci ha raccontato la Guerritore stessa. Un meraviglioso segno inviato da Alda Merini?) e ancora un vestito rosso con un velo bianco da sposa ricamato con rose fanées. Suggestione nella suggestione. Lo spettacolo si conclude con l'avvolgente canzone "Quelle come me" che Monica Guerritore interpreta con voce calda e comunicativa. -"Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive" (Alda Merini). Se Alda Merini affermò che aveva un angelo nella sua esistenza, Nuti-Guerritore si fanno i suoi angeli con le loro essenze artistico/spirituali e in una performance irrinunciabile aggiungono immortalità alla già immortalità di Alda Merini. Uno spettacolo irrinunciabile che avrà altre date, in preparazione il tour primavera-estate sia in Italia che all’estero. Silvia Calzolari |
Deliri progressivi
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