La penna di Milone, si veste da “terzo occhio”; osservando così,
le “masse abbarbagliate” di un’umanità spesso confusa e svalutata.
Recensione a cura di Dulcinea Annamaria Pecoraro

di Marco Milone
Editore: Narcissus, 2014
Recensione a cura di Annamaria Pecoraro
Silloge densa di metafore e “carovaggeschi” chiaroscuri che alludono all’intimistica visione della vita. Percorso delineato da pennellate di luci e ombre, attraversando la coscienza, la solitudine e la “profondità” di “plastiche immensità”. Un connubio che trova nello “sguardo” libero, la visione cosmica del tutto.
La penna di Milone, si veste da “terzo occhio”; osservando così, le “masse abbarbagliate” di un’umanità spesso confusa e svalutata.
Le riflessioni nascono spontanee, e la scrittura, diventa la rivoluzionaria forma di lotta contro la corruzione. Il poeta si oppone alle “carceri” mentali e fisiche, a catene e alti muri d’indifferenza, costruiti per paure e false difese, ma che imbruttiscono.
In tutto, la positività di cogliere nella fiducia, la speranza di un nuovo domani, diventa una possibilità.
Milone, lega i dubbi terreni ai “canti efebici”, attaccandosi alla nobiltà e ai pensieri celesti, la via che porta alla salvezza (almeno per l’anima, che si spoglia e diventa “nuda”).
La dualità dei luoghi, delle emozioni che scatena la lettura di questa silloge, diventa il mezzo per arrivare alla conoscenza di sé stessi e di quello che abbiamo intorno. Anche lo stesso dolore, è un fine, per riscoprire, nella semplicità dei sensi, nuovi passi e orizzonti.
Tra disperazione e luce, angeli e demoni, giorno e notte, vita e morte, tranquillità e guerra, abbandono e coraggio, la poesia di Milone si colora di immagini.
“Fiducia nel tempo e nelle possibilità scompare innanzi alla caducità delle cose”, monito che ben mostra e ricorda quanto molto sia in mano al destino, ma altro è determinato da come ognuno discerne.
La libertà di trovare arricchimento nel bene o nel male, è cosa realistica, nonostante questo costi scavare dentro l’aroma della vita o riemergere dai solchi delle delusioni, per rinascere poi, tempesta dopo tempesta, migliorati.
Dulcinea Annamaria Pecoraro