Cattivi di Torchio Maurizio Dati2015, 182 p., rilegato Editore Einaudi (collana Supercoralli) Maurizio Torchio nato a Torino nel 1970. Laurea in filosofia e dottorato in sociologia della comunicazione. Lavora al Centro Storico Fiat. Ha girato un documentario (Votate agli stipendi Fiat, 2003), pubblicato un libro di racconti (Tecnologie affettive, 2004) e due romanzi (Piccoli animali, 2009; Cattivi, 2015). Vive a Milano. Sposato con Ilaria, ha un bambino che si chiama Pietro. Recensione a cura di Marialuisa Brunetti Accattivanti già di per sé il titolo e l’immagine di copertina suscitano immediatamente l’attenzione del lettore e aprono sul viaggio che Maurizio Torchio ci propone fra le pagine di questo romanzo. Il termine “cattivo”, dal latino captīvus «prigioniero», e la bellissima immagine in bianco e nero di un uomo a braccia aperte, fanno deliberatamente da apripista ad un racconto narrante la realtà del mondo carcerario che da sempre, anche se non in modo continuativo, è oggetto di diatribe, dibattiti e scontri, e che risente dei vari contesti socio-culturali che nella storia si sono susseguiti. Condannati … senza un nome proprio, ma solo titolati con soprannomi guadagnati durante la quotidianità della prigionia, per alcuni oggetto di derisione, per altri da esibirsi quasi come apparente trofeo (Toro, Piscio, Comandante, le guardie, gli Enne …). La voce narrante in prima persona è quella di un ergastolano, condannato prima per sequestro di persona e dopo per omicidio, che ci porta nella quotidianità della reclusione raccontandoci le sensazioni provate e vissute fin dal primo giorno di arrivo: “Ti dicono: Orecchie. Tu pieghi le orecchie e ti giri, prima a destra, poi a sinistra. Narici. Inclini la testa all’indietro, per facilitare l’ispezione. Bocca. Apri la bocca. Le porte del corpo di schiudono a comando. Apri la bocca ma non ti alimentano. Non aggiungono: controllano che tu non abbia. Solleva la lingua. Obbedisci. Tira fuori la lingua. Obbedisci. Gengive. Scosti le labbra, usando le mani. Le tue dita a disposizione delle guardie.” Un cattivo quindi, ci racconta come l’unica strada per sopravvivere a quel mondo sia farlo proprio nella sua realtà più cruda, fino a perdere il concreto confine fra senso di libertà e prigionia, e in un ossimoro, farne la propria casa, la propria famiglia, dove “se ti svegli con il batticuore, per fortuna la prigione è lì che ti aspetta”; dove la vita dei carcerati si fonde con quella delle guardie, in un rapporto di conoscenza reciproca e legame quasi indissolubile, e dove in un apparente crudele gioco fra guardie e ladri “nessuno si salva da solo”. “Hai l’ergastolo, perché ritorni?”… “Toro non sa sparire” “Comandante era brillante, da giovane. Era già comandante. Adesso è ancora, e soltanto, per poco, comandante. Era davvero convinto di comandare.” Una conoscenza questa, raggiunta e maturata nello scandire degli anni, dei giorni, dei minuti, intessuta fra le trame e gli orditi di ogni singolo senso, che studia e fa proprio anche il più piccolo rumore, suono, colore, espressione, parola, silenzio, sempre all’erta, sempre sulla difensiva: “Chiedersi non: Cos’è; ma: Cosa nasconde?” Le descrizioni tragicamente reali che il narrante ci consegna, sono di vite sempre in bilico fra il desiderio di (soprav)vivere e/o morire, ed ogni oggetto anche il più banale può essere in qualsiasi momento determinante e risolutivo. Nella continua e costante alternanza di concessioni e privazioni, subite e osservate, egli sembra realizzare una sorta di viaggio interiore che attraverso la sofferenza lo porta a scoprire la vita nella sua essenza più pura. Cattivi e guardie sono due diverse facce della stessa medaglia, la comune appartenenza ad un mondo di confine volutamente dimenticato dalla società “civile”, anche e soprattutto nella dignità umana. Una società che non sfama il torto subito tramite lo scontare della condanna del “cattivo”, ma che deliberatamente infierisce, con la spazzatura che marcisce fuori dal carcere e che emana odori nauseanti, con il “pane punitivo”, poiché il carcere “non serve per restituire al mondo” ma per allontanare e infine dimenticare. Non sfuggono al lettore passaggi particolarmente forti come la descrizione che l’ergastolano ci fa del rapporto con la Principessa durante il rapimento, o dei colloqui con la madre, o delle visite delle mogli e dei figli fatte agli altri suoi compagni, dove veramente intenso è il coinvolgimento emotivo. La scelta predominante dell’asindeto come stile linguistico è ideale ai fini dell’efficacia comunicativa, e aumenta in modo esponenziale l’incisività di ogni singola descrizione trascinando fattivamente il lettore e rendendolo partecipe di quella drammatica realtà, senza sconti e senza l’ombra di fraintendimenti. Marialuisa Brunetti
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“Free Lemon T(h)ree” di Silvia Calzolari Collana "N.O.S.M." (2014) Recensione a cura di Marialuisa Brunetti Prorompente e decisa è la silloge “Free Lemon T(h)ree” di Silvia Calzolari che fra metafore, crasi, ossimori e parentesi si dispiega in ben 37 scritti. Nella sua lettura emerge chiaro e ridondante l’intenso e a tratti sofferto viaggio interiore che la Nostra percorre verso la profondità dell’Io, portandone allo studio il bagaglio di esperienze vissute o osservate, sottoponendole a profonda meditazione, e restituendole al lettore trasformate ora in riflessioni pungenti, ora in denunce forti e sferzanti che non possono lasciare il pubblico nel vicolo cieco dell’indifferenza. L’alternanza di ermetismo e manifestazione, costantemente presente, sembra rappresentare il vero ossimoro “portante” dell’opera, come se, il primo generasse nella Poetessa un sentimento di frustrazione scaturito dalla più urgente esigenza di richiamare l’attenzione del lettore verso problematiche concrete ed esistenziali, che non possono rimanere inascoltate. Dagli scritti spicca una marcata sensibilità di Silvia verso temi forti attuali, cogliendone quasi profeticamente la loro reale drammaticità e le loro conseguenze, spesso sfuggenti alla società attuale, il cui vivere frenetico costituisce un pericoloso viatico verso la disinformazione e l’inconsapevolezza. La costante vitalità poetica, trasversale in ogni componimento della silloge, elimina del tutto il rischio che tali riflessioni costituiscano descrizioni sterili di problematiche ma, anzi, vengono manifestate con vigore e crescente intensità, e mai fini a se stesse. Ella infatti propone come antitesi principi di libertà, uguaglianza e giustizia che sollevano il lettore dallo sgomento di un “nulla imperioso”, sempre in agguato per la mente e l’animo umano. Tuttavia l’uso stilisticamente marcato di metafore, crasi e parentesi, rischia di perdere la sua funzionalità linguistica, ed assurgersi ad “essenza” stessa del libro, ostacolandone a tratti la lettura a discapito dei contenuti di indiscussa qualità. Sotto questo aspetto i suoi componimenti più lineari, come “Il cibo d’uguaglianza”, “Il valore di un sogno”, “Sole d’amicizia” oppure “Poesianticapitalista” risultano vere e proprie gemme, capaci di sollecitare e al tempo stesso arricchire, anche l’animo più impermeabile che non viene distratto da alcuna interruzione linguistica. Vera e propria punta di diamante è la sua “Weltanschauung” che la Poetessa ci consegna come sintesi esistenziale di un lungo percorso di ricerca, fra chiaro-scure visioni e intuizioni; una prospettiva di vita che può sfociare in autentica “im-mortalelevazione" quando l’uomo immerge la propria Essenza nella solarità dell’ascolto di sé e della libera consapevolezza. Marialuisa Brunetti Presentazione fiorentina del 1° numero di collana delle edizioni NOSM: Recensione a cura di Marialuisa Brunetti È un viaggio autobiografico coinvolgente quello proposto da Rolando dove in “Storielle di ieri, oggi e…” edito dalle ed. N.O.S.M. ci racconta dello stile di vita a carattere prevalentemente rurale vissuto negli anni del dopoguerra e in quelli a seguire, nella sua Pagiano, piccola frazione del Valdarno e suo paese natale. La scelta del doppio binario prosa-poesia rimata, come mezzo per consegnarci scorci di storia vallombrosana, tiene viva l’attenzione. Il lettore diventa così parte integrante di quella realtà, e il tutto arricchito da venature di sarcasmo e influssi dialettali, sigilli indiscussi dell’appartenenza territoriale.Il trasporto emotivo con il quale Rolando si racconta e ci racconta permette una “full immersion” in quel mondo agricolo ancora acerbo e poco assistito dal punto di vista del progresso tecnologico; un percorso di fatica e sacrificio che l’attività contadina portava inevitabilmente con sé, ma anche ricco di valori etici e di senso di comunità forte. Ed è proprio su queste virtù che Rolando vuole invitarci a riflettere. Ogni racconto è infatti mezzo per dare risalto al senso della solidarietà, della condivisione, dell’amicizia, dell’onestà che intorno ad ogni quotidiana attività scorrevano. Una cordata di umanità dalla quale nessuno si sentiva escluso, e un pretesto per capire quanto questi aspetti rappresentassero un dono aggiunto se non addirittura dessero spessore e senso al vivere quotidiano. Rolando passa a setaccio la sua memoria regalandoci descrizioni semplici quanto efficaci: da momenti conviviali a parentesi di sofferenza, soffermandosi con dovizia di particolari al movimento delle persone, al loro abbigliamento, al carattere, all’espressività. Niente resta inosservato! Un tratto di strada percorso a piedi passando per il “Tabernacolo di Fiesso”, o il momento della svinatura, o le irrinunciabili sagre, nelle duplici vesti “sacra” e “profana”, erano momenti di conoscenza e d’incontro cui nessuno si sottraeva, dove si fondevano dialogo e aiuto reciproco. Anche gli oggetti, gli animali, i paesaggi, sotto la penna di Rolando acquistano personalità e volendo paragonare questi momenti descrittivi a dipinti colorati, al lettore sembrerà di entrare in una vera e propria galleria d’arte! Fiori di ginestre nel bosco, papaveri nei campi, rose presenti nelle case dei contadini, “il gelso vicino alla capanna delle presse di paglia”, “i buoi possenti con quel loro andirivieni…”, la strada che da Pagiano portava a Tosi, la trebbiatrice del grano, l’assordante rumore dell’acqua, così come gli oliveti e i vigneti… tutto era servizio e parte integrante della comunità. La piacevolezza con la quale scorre il libro che fra rime e racconti si snoda, e il sarcasmo di cui ne è imbevuto, non nascondono però la “malinconia” nell’animo dello Scrittore, che ha visto con gli anni scivolare via tutto ciò che la vita di bello portava con sé. Sicuramente, se da una parte il progresso ha reso l’attività agreste fisicamente meno onerosa, dall’altra ha contribuito a interferire nei rapporti interpersonali sottraendo contatto umano.Il tratto nostalgico, pur essendo una caratteristica pressoché costante in “Storielle di ieri, oggi e…”, sembra essere più marcato nei componimenti poetici ove l’ondata emotiva si fa più intensa. Senza mai correre il rischio di cadere nella banalità, si avvicina al lettore, denunciando con vigore le mancanze, e “ri”-proponendo come cura e rimedio quegli stessi valori che “in primis” lui ha personalmente e positivamente sperimentato. La dialettica semplice, ma non semplicistica, con cui Rolando si accosta al lettore è strumento stesso d’essenza del libro. Un chiaro invito che Egli vuole affidare a queste nostre giovani generazioni, ripercorrendo la strada che porta alle qualità essenziali e genuine, per riacquisire solidarietà umana, in buona parte, purtroppo oggi smarrita. Marialuisa Brunetti Fotografie di Deliri Progressivi (ph Roberto Bruno) e PH Marco Magnani Link acquisto libro "Il silenzio del mare diventa mezzo tanto più intenso, quanto più ci addentriamo nella sua più intima profondità. In esso infatti, risiede la metafora della nostra Anima. Il susseguirsi di esperienze, crea, come una rosa di venti, mulinelli di sentimenti ed emozioni, tali da renderla inquieta, agitata, calma, o in perenne e instancabile movimento, ma la cui bellezza e veridicità più pura l’uomo riesce a gustare cogliendone il senso caratterizzante." "Ed eri mare. Ossia incontro di spirito e carne, ma anche il luogo di resurrezione. Enorme palcoscenico fra gli dèi e gli uomini." Quando sorride il mare di Floriana Porta Collana "Le Cetre" (2014) Formato: cm 12 x 16,5 Pagine: 64 ISBN: 9788898590087 Floriana Porta, poetessa, fotografa e pittrice, è nata a Torino nel 1975. Impegnata in molti progetti artistico-culturali dedicati al mondo della poesia e degli haiku, ha pubblicato due sillogi: Il respiro delle ombre e Verso altri cieli. Le tematiche cardine della sua poetica sono le riflessioni sull'esistenza, le forze cosmiche e la ricerca dell'essenzialità. È membro della giuria del Concorso Internazionale Poesia Haiku, organizzato dall'Associazione culturale Cascina Macondo, e di quella del Premio Italia Mia – Viaggio sentimentale in Italia, bandito dall'Associazione Italiana del Libro. Una bellissima collana di perle sono le poesie scritte da Floriana Porta nella silloge “Quando sorride il mare”, dove la Poetessa prende per mano e ci porta a conoscere il mare, per gustarne ogni suo elemento: colore, odore, vitalità, silenzio e rumore. Questo diventa la forza prorompente, che attraverso i suoi movimenti, (l’alternanza di mareggiate e bonacce, i suoi colori cangianti al muoversi del sole), culla e si prende cura di tutti gli esseri viventi che lo abitano. È uno studio profondo e minuzioso quello svolto da Floriana, che porta alla luce miriadi di meditazioni, guardando agli esseri viventi più esclusivi e rari: quelli di ieri, “organismi fossilizzati”, “steli d’eternità”, testimoni preziosi di un antico passato, e quelli di oggi che popolano le cavità più profonde degli abissi. Correnti e maree che il vento muove, artefice di mutazioni di scenari magici e sublimi; giungendo a noi “tra arcobaleni e gigli marini” (…)/ “assetato di bellezza”, che “Non dice. Serpeggia sotto pelle e si sfilaccia sotto pelle” (…)/,“abitato dal fulmine e dal tuono”. Connubio del giorno e la notte, e regalo di un’infinita varietà di cromature, odori, e sensazioni, ora intense, poi delicate o sublimi, ma costantemente, energie pulsanti. Sempre a disposizione un’isola per il viandante che vuole riposare e rinfrancarsi, ed uno scoglio per chiunque desideri riprendere il volo. Il silenzio del mare diventa mezzo tanto più intenso, quanto più ci addentriamo nella sua più intima profondità. In esso infatti, risiede la metafora della nostra Anima. Il susseguirsi di esperienze, crea, come una rosa di venti, mulinelli di sentimenti ed emozioni, tali da renderla inquieta, agitata, calma, o in perenne e instancabile movimento, ma la cui bellezza e veridicità più pura l’uomo riesce a gustare cogliendone il senso caratterizzante. Un viaggio spirituale ricco e energico è quello della Poetessa, dove il mare è fonte di interrogativi esistenziali e sofferti, e al contempo, base di risposte, per lo spirito e il corpo. Splendidi sono, infine, gli haiku, che la Porta ci propone al termine; pur rispettando la severa regola di questo genere, Floriana riesce con abilità e maestria a trasmettere tutta la carica emotiva. Riflessioni su ogni singolo componimento finemente curate e cesellate, che lasceranno sicuramente il segno nel lettore. Marialuisa Brunetti |
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