E di queste cose io stessa mi meravigliai, quando ancor bimbetta per volere del destino, passai dalle mie montagne innevate all’isola “arsa dal sol fecondo”. Fu allora che iniziai a respirare aria siciliana, che nacque la mia predilezione per le piante grasse, che imparai a sbucciare i frutti dei fichi d’India, che volli gustare ‘a manciata ‘i ricotta, la colazione di ricotta, che ascoltai quei “suoni greci arabi latini” e ancora adesso mi piace acquistare gli agrumi con le foglie e tenerli nel paniere di castagno come usano intrecciare in terra di Mugello. LEONARDO SCIASCIA Cronista di scomode realtà. Raccolta antologica a cura di Martino Ciano Stile Euterpe vol.1 PoetiKanten Edizioni, 2015 Recensione a cura di Lucia Bonanni “Mio nonno si chiamava Leonardo, come me; era un gran lombardo alla Vittorini dagli occhi azzurri. (Come io non sono) un settentrionale. Ho trovato suoi biglietti da visita: Leonardo Sciascia- Alfieri. Alfieri è un nome del nord, che aveva ereditato da sua madre insieme agli occhi azzurri , mentre Sciascia è un cognome propriamente arabo, che fino al 1860 sui registri anagrafici veniva scritto Xaxa, e che si leggeva Sciascia. In arabo, dice Michele Amari, vuol dire “velo del capo” e per indicare un’amicizia strettissima si parla di “due teste in una stessa sciascia”. Mio nonno era stato caruso, uno di quei ragazzini che nelle zolfare siciliane venivano adibiti al trasporto del materiale. Imparò a leggere e scrivere e fino a qualche anno fa molti lo ricordavano per le sue collere terribili, il suo rifiuto a scendere a patti con la mafia nonostante le minacce”. “Tu sei Leonardo? Tuo nonno era una persona onesta”. (in L. Sciascia, La Sicilia come metafora). La figura del nonno, quell’ onestà, “gran virtù soffocata di molti siciliani”, il rifiuto a scendere a patti con la criminalità organizzata sono punti fermi nel racconto “Nient’altro” in cui “eroe d’altri tempi” per gli uomini onesti è un uomo stanco e solo, un anziano con “radi capelli canuti, lisci” che si considera “un niente mischiato con nessuno”, ma che in realtà è un personaggio di spicco nella trama del racconto e persona degna di gran rispetto nella realtà vissuta. “Mio nonno dice che a vossia dovrebbero fare il monumento; io lo metterei al centro di questa piazza… ma perché mio nonno dice che vossia è stato un eroe di altri tempi?”. Una moltitudine di ricordi agitò la mente di zi Ni mentre un’immagine si mescolava ad altre immagini in un crescendo di pathos emozionale. La promessa fatta al ragazzo si fece idea avvolgente dei suoi pensieri. “Cosa gli racconto?”, pensò l’anziano, “ a me sembra di essere nato ieri o di non essere nato affatto” E forse era vero! La sue vicissitudini di uomo e di libero cittadino potevano essere raccontate con poche parole. Quello della sua vita era un racconto breve. Una narrazione con pochi personaggi e fatti scarnificati come parole messe ad essiccare nelle saline dei pensieri nel “paese del sale/che frana/dall’altipiano a una valle di crete”(L. Sciascia, Due cartoline dal mio paese). Alla luce degli accadimenti non c’era “Nient’altro” da raccontare, se non che dopo mezzo secolo di detenzione era tornato in libertà , una libertà duramente conquistata e che onorava suo nonno, ucciso per non aver voluto cedere a nessun tipo di ricatto. “Nell’inventar storie vere” è qualità innata di Sciascia ed egli ricerca, insegna, investiga, partecipa attivamente alla vita culturale e sociale italiana e soprattutto scrive libri di denuncia , mostrando il “baratro della storia”. “A ciascuno il suo”, titolo in cui è palese quella figura retorica, detta ellissi, nell’avere di ciascuno “traspare un dolore sommerso”. “I bambini poveri si raccolgono silenziosi/sui gradini della scuola/addentano il pane nero/gli altri se ne stanno chiusi/ nel bozzolo caldo delle sciarpe” (L. Sciascia, Due cartoline dal mio paese). E se il sale “diventa morte,/ pianto di donne nere nelle strade,/fame negli occhi dei bambini?”(L. Sciascia, Due cartoline dal mio paese). Povertà, disuguaglianze di classe, abusi di potere, corruzione, marginalità, omicidi, rapine, attività lecite e illecite si consumano e si reiterano, come scriverà il giudice Giovanni Falcone come “Non frutto abnorme del solo sotto- sviluppo, ma prodotto delle distorsioni dello sviluppo”. E nel corso del tempo e nel ripetersi degli eventi “quella piovra/dal giorno della civetta/alla scomparsa di Majorana” continua, come scrive Bufalino, nella logica della “liturgia scenica (e) fra le sue mille maschere, possiede anche l’alleanza simbolica e fraternità rituale, nutrita di tenebra” e “uocchiu d’e gghenti”, l’occhio della gente, è anche l’occhio della civetta, animale dallo “sguardo scintillante”, dal grido acuto e stridulo ed anche simbolo di denaro. I glauks erano le monete ateniesi e la civetta di Minerva, dea della sapienza, è simbolo della conoscenza e della saggezza; gli occhi e il becco ricordano la lettera dell’alfabeto greco “fi”, ma è anche immagine controversa e contraddittoria perché, essendo un uccello notturno, richiama l’idea di morte, isolamento, solitudine, oscurità, come di miseria, di malefici, disgrazie e cattivi presagi. “Ridono gli altri uccelli tra le fronde/per la strana presenza del rapace/notturno in pieno giorno”, ossimorica presenza, antitesi tra buio e luce, contrasto tra suono e silenzio in una perifrasi narrativa che rimanda all’omicidio del sindacalista ad opera della mafia. Ma nel “giorno che irrompe ciarliero” gli uomini vanno verso i campi, obliando tutte le facoltà dei sensi e “con scarse propensioni di dignità” si chiudono nel più aspro silenzio. Intanto “i morti vanno, dentro il nero carro/incrostato di funebre oro, col passo lento dei cavalli” (L. Sciascia, I morti) mentre le donne al loro passaggio chiudono le imposte e i negozianti lasciano appena aperto uno spiraglio per poter spiare il dolore dei parenti. “Le cose dei morti, i pupi, la frutta di pasta di mandorle che i bambini la mattina del due novembre cercano e trovano in qualche angolo della casa . I morti che portavano i doni; i vivi che tra loro, a catena si ammazzavano” (L. Sciascia, Novembre a Palermo). Qua e là nei versi degli autori presenti in antologia, echeggiano i versi di Quasimodo “ride la gazza, nera sugli aranci”, “tra muschi grami, a supplizio/splende la pietra livida”, “dove mi hai posto/amaro pane a rompere”, come echeggiano quelli di Sciascia, “il silenzio è vorace sulle cose./S’incrina, se flauto di canna/ tenta vena di suono, e una fonda paura dirama” ma echeggiano anche quelli di Pavese “sei la terra e la morte./La tua stagione è il buio/ e il silenzio”. Il silenzio… parlare a cenni è arte che i siciliani inventarono a seguito della proibizione fatta da Jerone che, temendo qualche congiura, vietò ai siracusani di parlare fra loro. “Il parlar co’ cenni, con un moto del capo, della bocca, delle spalle, e soprattutto delle mani, è arte propria dei Siciliani che senza profferir parole, anche a notabil distanza, con un sol cenno spiegano i concetti della mente” scrive A. Mongitore in “Parlare a cenni”, “Il signor padre tutto fici per farti parlari portandoti cu iddu perfino alla Vicaria che ti giovava lo scantu ma non parlasti perché sei una testa di balata, non hai volontà…” dice D. Maraini in “Il silenzio di Marianna”. E di queste cose io stessa mi meravigliai, quando ancor bimbetta per volere del destino, passai dalle mie montagne innevate all’isola “arsa dal sol fecondo”. Fu allora che iniziai a respirare aria siciliana, che nacque la mia predilezione per le piante grasse, che imparai a sbucciare i frutti dei fichi d’India, che volli gustare ‘a manciata ‘i ricotta, la colazione di ricotta, che ascoltai quei “suoni greci arabi latini” e ancora adesso mi piace acquistare gli agrumi con le foglie e tenerli nel paniere di castagno come usano intrecciare in terra di Mugello. “Ci vuol coraggio a sbucciarli (i fichi d’India), rischiando di ferirsi con le spine”. Ricordo che gli uomini passavano intabarrati nei loro mantelli neri, con la coppola tirata sugli occhi, salutavano con un cenno del capo e i loro cavalli lasciavano impronte sulle trazzere assetate e nei vigneti. Spesso sentivo raccontare di brigantaggio e morti ammazzati e soltanto negli anni della mia autoformazione imparai il significato del termine “separatismo” e seppi della “rivolta del pane”, della tragedia dei carusi, “giovani fiori gialli tra pietre vendute ai padroni”, e dei fatti di Portella della Ginestra. Anni dopo i media mi mostrarono immagini crude e mi sentii derubata dall’usura del tempo lineare e dallo scempio del tempo ciclico. Sentivo la libertà quale elemento fondante di ciascun uomo; per questo anch’io volli contare i miei 100 passi e scrivere versi di pace mentre in via Nortarbartolo lasciai un biglietto insieme ad altri biglietti su quell’albero, emblema di legalità e voglia di cambiamento. Ma di cosa è fatta quella “sicilitudine” ,di cui parla Sciascia, in una realtà storica dove popoli diversi, non dissimili dai rapaci che volano “Sotto le rocce di Tindari”, si spartirono le bellezze dell’isola e la paura “storica” divenne paura “esistenziale”! Certo la posizione geografica dell’isola al centro del Mediterraneo è un punto strategico che la rende aperta ad ogni azione di conquista e come scrive ancora Sciascia “lo sbarco degli eserciti anglo-americani nell’isola, il 10 luglio del 1943, avveniva in condizioni quasi identiche a quelle dello sbarco degli arabi il 6 giugno dell’827 con l’isola come sempre sguarnita di difese, lo spirito pubblico prostrato da un’amministrazione rapace e corrotta”. E, se è vero che “a furca è fatta p’o poviru”, la forca è fatta per il povero, è anche vero che l’isola è chiusa nel guscio di se stessa e si lascia travolgere da idee che non affermano nessuna verità ed è sempre più assetata di certezze, sempre più affascinata dalle contraddizioni e dalla sofferenza come dalla simulazione e dalla maschera. Le fonti della sua passione intellettuale sono da ricercarsi in Demetra, Core e Aretusa , in Ciullo d’Alcamo e Giacomo da Lentini, nella pietra lavica del maestoso Etna, nei mosaici di Monreale e nel mito della roba come nelle “grotte aride (dove a volte) vengono rinvenuti corpi privi di anima”. “Già. Le due donne hanno reagito. Non sanno che da queste parti non si scherza…” perché in questa terra “più si fa finta di non sapere e meno si rischia la pelle” come è successo al notaio Manni, alla maestra Livato e a Michele che è tornato a casa , interrato in un vaso di fiori. “Ma lo sguardo di Sciascia andava oltre” così tanto oltre da scrivere che “Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma”. In quelle “Isole nell’isola” esiste una radice di tristezza e quel senso tragico della vita che talvolta sfocia nel sentimento di solitudine che fa sentire stranieri in patria. “Diciam dunque che l’isola di Sicilia è la perla del secolo per abbondanza e bellezze… e vengono da tutte le parti i viaggiatori e ad una voce la esaltano” (Edrisi, Della Sicilia) e en esaltano ance la fiera bellezza delle donne, ne lodano il ruolo in seno alla famiglia, ne ammirano la posizione centrale nelle responsabilità sociali, donne che osano parlare con voce rude e misurarsi con gli uomini nel dramma popolare delle faide tra famiglie, del delitto passionale e gli amori impossibili, amori incarnati nel verismo di Alfio e Mena, di Gesualdo e Diodata. Tuttavia c’è anche da dire, come ebbe a scrivere Gramsci, che “la Sicilia conserva una sua indipendenza spirituale e questa si rivela più spontanea e forte nel suo teatro (che) è vita, è realtà, è linguaggio che coglie tutti gli aspetti dell’attività sociale, che mette in rilievo un carattere di vitalità. Della “questione” meridionale si continua ad avere l’impressione di una carte-souvenir e a prenderne nota a margine della pagina della partecipazione sociale. “Sto a far camorra sulle cose, seduto/ al sole d’aprile che in me torna/a un suo azzardo di sentimenti e di inganni/Il paese, non lontano, sembra affondare/ nel verde: di là di questo gioco/pieno di voci, è solo un paese di silenzio” (L. Sciascia, Aprile). Scrive Lorenzo Spurio a riguardo delle “Favole della dittatura”: “Simile attestazione alle “favole” sciasciane secondo me vale di più di ciascun saggio, libro, studio, o guida di lettura sul testo in questione in quanto Pasolini con strepitosa chiaroveggenza e una disarmante predisposizione ermeneutica ne affresca il contenuto con onestà, connotandone anche la forma… Pasolini gioca con le parole “favole” e “dittatura” chiamando il lettore alla riflessione”, “Ecco allora che la scrittura rafforza l’amore per la democrazia, se pur ammalata da sistemi corrotti e devianti e non di ordine piramidale bensì di natura reticolare (in) un carnevale di maschere che dividono quell’esserci ontologico tra il subire e il fare, tra protagonismo e antagonismo”, conclude Iuri Lombardi nel suo saggio antologico mentre per Martino Ciano, Curatore del volume, “c’è chi costruisce progetti che magari non finiranno sui tavoli dei baroni ma che danno testimonianza ai posteri che c’è altro.” “Leonardo Sciascia. Cronista di scomode realtà”, sono convinta che si è sempre cronisti di scomode realtà allorchè si coltivano idee di libertà, giustizia e uguaglianza e il potere della scrittura si fa denuncia; quando si dà ampio respiro a idee di vera fraternità, non si seguono mode e si diventa voci fuori dal coro; quando si ha paura e non si cede a vessazioni e ricatti; quando si è in stretto contatto con la nostra solitudine di Uomini reclusi nel gorgo dell’indifferenza; quando i nostri ideali sono macigni sul cuore per chi cuore non ha e le speranze fino allora coltivate, sembrano svanire; quando si è lasciati soli nel presente; quando si è ben consapevoli che per la fede di onestà anche altri prima di noi sono stati lasciati soli e altri dopo di noi lo saranno ancora perché “la verità è (sempre) ai margini dove pochi la cercano”. Lucia Bonanni
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Lorenzo descrive e attraversa il pathos e attraverso la katarsis (κἁθαρσις, "purificazione"), Tormenti tra urla e silenzi di Lorenzo Pais Aletti editore (2013) Collana Gli Emersi - Poesia pp.56 €12,00 ISBN 978-88-591-1177-1 - Disponibile ebook Recensione a cura di Annamaria Pecoraro Dulcinea Fino “ai confini del mondo conosciuto”, arriva la poesia di Lorenzo Pais. In un giorno e mese destinato, racchiuso e ricordato in un 9 Aprile. Ancora una volta, i versi prendono per mano e diventano, compagni di viaggio nel tempo e mitigano sogni e illusioni, brindisi e fugaci saluti. L’amore infiamma e se non corrisposto, può far male. Il richiamo della metamorfosi di donna in aspide, è indice dell’alto dolore che un uomo può provare nei confronti della donna amata. L’oblio e la solitudine, ricordando in morenti cerchi d’acqua, un non corrisposto sentimento che porta alla lacerazione e a trovare il conforto in un calore o bisogno (sbagliato)di qualcosa che non è mai appartenuto. Il vuoto, provoca abissi profondi nell’anima e nella mente, e silenzi estremi. Lorenzo descrive e attraversa il pathos e nella katarsis (κἁθαρσις, "purificazione"), trova nel divenire cenere, le ali di fenice per rinascere. L’equilibrio è un cammino in salita, spesso ostacolato da “congiure e tradimenti” inaspettati, poiché celato dalla disillusione di una verità bugiarda. Il tempo diventa il medico guaritore, in una “domenica d’Ottobre”, bramoso di futuro, sogni, “tra spazio e magia”. Il corpo ammalia la mente, e spesso bloccato da parole non sincere, può portare a giorni di guerra, “solitari senza amici, senza amore”, la ricerca e l’ascolto di quella voce interiore, è il necessario faro-guida per ritrovare coscienza. La penna di Pais, si tinge di rosso e di nero, delineando i tormenti e le urla che le sfide quotidiane possono porre o condannare. Il destino diventa un vestito spesso macchiato di vittorie e pericoli. La forza di andare avanti, ricercando la cura è il fine dell’uomo, che diventa “acrobata tra sospiri e baci”, su un palcoscenico non sempre conforme ai desideri. Tra attese, pensieri, sorrisi, incanto, incoscienza, scivolano le difese e l’odore dell’umanità, travolge con stupore, chi nonostante tutto si lascia andare ai “carpe diem”. L’uomo amato, può innalzarsi o sprofondare se non amato, osannare o imprecare, vedere donne angeli o demoni, parlare d’amore o di odio, sorridere o piangere, sognare o scegliere di morire. Nel buio, i riflessi e colori sono ben visibili e anche quando non c’è l’Amore vero, ha la capacità di avvolgere e di riscaldare “come una sciarpa calda e morbida”. E quando ci chiediamo dove sia la felicità, eccola che la troviamo: è racchiusa in una valigia di emozioni, cariche di vecchi racconti o di tuffi negli occhi, parte di pedine di un gioco o semplicemente “in pagine vuote in attesa d’inchiostro”. Dulcinea Annamaria Pecoraro La penna di Milone, si veste da “terzo occhio”; osservando così, Anime Nude di Marco Milone Editore: Narcissus, 2014 Recensione a cura di Annamaria Pecoraro Silloge densa di metafore e “carovaggeschi” chiaroscuri che alludono all’intimistica visione della vita. Percorso delineato da pennellate di luci e ombre, attraversando la coscienza, la solitudine e la “profondità” di “plastiche immensità”. Un connubio che trova nello “sguardo” libero, la visione cosmica del tutto. La penna di Milone, si veste da “terzo occhio”; osservando così, le “masse abbarbagliate” di un’umanità spesso confusa e svalutata. Le riflessioni nascono spontanee, e la scrittura, diventa la rivoluzionaria forma di lotta contro la corruzione. Il poeta si oppone alle “carceri” mentali e fisiche, a catene e alti muri d’indifferenza, costruiti per paure e false difese, ma che imbruttiscono. In tutto, la positività di cogliere nella fiducia, la speranza di un nuovo domani, diventa una possibilità. Milone, lega i dubbi terreni ai “canti efebici”, attaccandosi alla nobiltà e ai pensieri celesti, la via che porta alla salvezza (almeno per l’anima, che si spoglia e diventa “nuda”). La dualità dei luoghi, delle emozioni che scatena la lettura di questa silloge, diventa il mezzo per arrivare alla conoscenza di sé stessi e di quello che abbiamo intorno. Anche lo stesso dolore, è un fine, per riscoprire, nella semplicità dei sensi, nuovi passi e orizzonti. Tra disperazione e luce, angeli e demoni, giorno e notte, vita e morte, tranquillità e guerra, abbandono e coraggio, la poesia di Milone si colora di immagini. “Fiducia nel tempo e nelle possibilità scompare innanzi alla caducità delle cose”, monito che ben mostra e ricorda quanto molto sia in mano al destino, ma altro è determinato da come ognuno discerne. La libertà di trovare arricchimento nel bene o nel male, è cosa realistica, nonostante questo costi scavare dentro l’aroma della vita o riemergere dai solchi delle delusioni, per rinascere poi, tempesta dopo tempesta, migliorati. Dulcinea Annamaria Pecoraro “Perché proprio a lei”. Quante volte è capitato pronunciare questa frase, quando qualcuno di importante o non, si trova davanti alle misteriose “parche” che spezzano il filo dell’esistenza. In viaggio con te di Nadia Boccacci Casa Editrice Butterfly edizioni N° pagine 148 Codice ISBN 978-88-97810-00-1 "Chi trova un amico trova un tesoro" e questo libro rispecchia l’autenticità del legame e il senso vero che unisce due anime, amiche-sorelle: Valeria e Linda. Due singole personalità, così vicine e così uniche, da avere scelto anche percorsi di studi, nati dalle loro diverse inclinazioni, ma affiancate dalla stessa voglia e predisposizione di vivere la vita a 360°. Condivisione di idee, di un cammino, di affrontare i dubbi e le incertezze, tenendo sempre a mente, quanto ogni attimo sia prezioso. “Perché proprio a lei”. Quante volte è capitato di pronunciare questa frase, quando qualcuno (di importante o non), si trova davanti alle misteriose “parche” che spezzano il filo dell’esistenza? Forse dopo solo dopo un grande dolore, o una malattia che ci coglie improvvisamente, ci rendiamo conto di come ogni singolo gesto sia parte integrante, che arricchisce e accresce. Spesso rimandiamo tutto a domani, senza pensare che l’oggi sia di fondamentale importanza per diventare dei “noi”, più grandi. Coltivare i sogni, senza smarrirsi di fronte ai dubbi, e il coraggio di dare, diventa poi, un’esigenza, per sconfiggere la malinconia o i sensi di colpa, per non avere fatto o dato. Questo libro è un cammino: di luci e di ombre, di impronte, di passi che hanno regalato sorrisi e lacrime. Un percorso di tempo, di attese, speranze, perdite, di un riscatto contro lo smarrimento, che affanna e paralizza. “In viaggio con te”, nasce dalla penna di Nadia Boccacci. Un romanzo che sa emozionare e prendere per mano, scrivendo in quell’”insieme”, il fine di un nuovo inizio, oltre tutto e tutti. Dulcinea Annamaria Pecoraro P.S. Post Sisma di Prospero Alessandra Dati 2012, 40 p., brossura Editore Città del Sole Edizioni (collana Cantieri poetici) Alessandra Prospero: nata e cresciuta a L’Aquila dove tuttora vive, dopo gli studi classici ha assecondato la propria passione per lo studio della criminologia intraprendendo il corso di laurea in Scienze dell’Investigazione in L’Aquila. Collabora come recensionista con le riviste virtuali www.bottegascriptamanent.it e www.direfarescrivere.it edite dall’Agenzia Letteraria La Bottega Editoriale (www.bottegaeditoriale.it) e con la rivista www.ilgiornaledimontesilvano.com. Prolifica è soprattutto la sua produzione poetica, ha partecipato a innumerevoli antologie poetiche e nel 2012 ha pubblicato con Città del Sole edizioni la silloge P.S.Post Sisma, lanciata al Salone del Libro di Torino, che le è valsa numerosi premi e riconoscimenti. [P.S. Post Sisma ha ottenuto il 2° posto nella sezione Poesia Sociale del Premio Leandro Polverini 2012 e il 2° posto al Premio Internazionale Vitruvio 2012.] (http://alessandraprospero-prosaepoesia.blogspot.it) Oggi ci chiediamo perché non abbiano ancora inventato la macchina del tempo e ci lamentiamo di quello che abbiamo o avremmo potuto fare. Beh, sicuramente non ci siamo resi conto che il dispositivo è già stato inventato da millenni. Da quando abbiamo la facoltà di scrivere i nostri pensieri immortalandoli. Fare parte di una storia, anche quella che fa male ed è più crudele, quella che fa cadere, rende furbi. Quella che dona e solca indelebilmente l’anima e porta dentro le emozioni. La costruzione o la distruzione di ogni cosa è in mano a chi esorcizza o coraggiosamente si fa portavoce di parole, testimoniando quello che i sensi portano; gustano, ascoltano, osservano. Si condivide anche il sapore amaro che può lasciare tra le lacrime e i sorrisi, che possono attraversare i meandri della coscienza, raccontando anche dell’incoscienza passata. I poeti sono questo: frecce che attaccano i sogni al presente, “raccattando i cocci“ dell’esistenza, anche dove le ferite sono la dura vita che scorre quotidiana. La rabbia diventa un ricordo che il tempo accarezza, l’amore una salvezza che accompagna la speranza, dopo aver perso tutto. La memoria resta scritta tra le dita che attraversano il bianco, con il nero incontenibile che traccia e cambia, facendo maturare, tremare, consapevolmente respirare. Alessandra diventa il vivente segno che palpita in un dramma come quello del Terremoto che ha colpito l’Aquila del 2009. “Affoghiamo la paura nelle onde di cobalto, ci aggrappiamo con dolore a alla mutevole sabbia … …Ci riconciliamo con il nostro destino in una città fantasma gremita di spettri” La sopravvivenza diventa necessaria e la forza di parlare e di non celare gli stati che affollano ”il risveglio mortifero”. Diventa presa di posizione, nei confronti della misteriosa Signora Morte. Un gioco impari che spegne le luci d’improvviso e non guarda in faccia nemmeno al “giovane melograno” che “si aggrappava faticosamente al proprio orcio di salvezza, spiando dall’esterno”. Il ricordo diventa la radice per immergersi nel “deja vu” e capire quanto le azioni del quotidiano siano così importanti da essere appieno vissute. I gesti non sono mai vani poiché solo dopo ci si può accorgere di quanto “ troppo presto vanno via le carezze”. I desideri diventano cavalcabili, se ci rendiamo conto di poterli realizzare ogni singolo giorno; senza rimandare, senza essere schiavi dei “domani poi farò” o dei “filtri o amplificazioni” che la nostra insoddisfazione, porta spesso a placare sul nascere. L’ascolto della propria voce, il guardare dall’altro l’orizzonte, annullare il rimorso con la reazione all’azione, dona l’ardore di non nascondersi e dà voce, facendosi cibo alla fame dei perché e del silenzio. Alessandra diventa il “terzo occhio” e strumento che cuce le disarmonie di un tempo che ha colpito “letale e repentino”. Incolume e padrona del talento (“arma segreta”, che la misericordia divina l’ha provvista), descrive le stagioni per arrivare al nirvana finale: “come fossi figlia indomita ma prediletta e con tale devozione difendo la tua essenza” La Prospero diventa la primavera che si schiude e respira a pieni polmoni ascoltando “ commossa il giorno costellarsi di piccole cose musicali, per chiudersi in una floreale e obliante ninna nanna notturna.” P.S Post Sisma è il seme, che la Madre terra devastata ha accolto e protetto nel suo ventre, e nella complicità del nuovo evento nasce ora, superando la paura e osando nella fragilità, trovando così, la pace. Firenze 05/04/13 Dulcinea Annamaria Pecoraro Cinquanta sfumature di grigio di James E. L. Dati2012, 548 p., brossura EditoreMondadori (collana Omnibus) Acquisto: http://www.ibs.it/code/9788804623236/james-e-l/cinquanta-sfumature-di-grigio.html Disponibile anche in ebook a € 6,99 Il libro dell’anno appena concluso è probabilmente Cinquanta sfumature di grigio, romanzo di E. L. James e subito seguito da due capitolo importanti e imprescindibili per il valore di questa trilogia erotica. Nel romanzo si narra il rapporto sadomasochista che si instaura tra una giovane studentessa americana e un potente uomo d’affari. La protagonista confonde il sesso con l’amore e da subito si lascia trasportare in questo tunnel fatto di proibizione, devianza e violenza. Una storia d’amore e di odio della quale la protagonista sembra non riesca farne a meno ma che allo stesso tempo la logora mentalmente. Le percosse si sostituiscono ai baci, le cinghie di pelle alle carezze e così via. Per continuare a leggere la recensione a questo romanzo, clicca qui: http://blogletteratura.com/2013/01/29/50grigio/ Lorenzo Spurio |
Deliri progressivi
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Settembre 2024
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