
La Nascita - estratto da "Oltre l'Argine"
di Simone Guaragno
Brossura: 100 pagine
Editore: ilmiolibro.it
ISBN-10: 8891034312
ISBN-13: 978-8891034311
Link acquisto: http://www.amazon.it/Oltre-largine-Simone-Guaragno/dp/8891034312
Oltre l'argine è un'opera che rovista tra le emozioni per trovare la forza di gettare l'animo oltre l'ostacolo al fine di costruire un futuro che si nutra di sogni genuini. In tutto il libro e, in particolare, nell'ultima sezione dedicata ai racconti di Natale, aleggia una soave atmosfera di magia.
La mia vita ebbe inizio due anni fa.
So che vi state chiedendo se scrive un bambino. Eccomi a voi, sono proprio io. Davanti al vostro sguardo, c’è un infante che cammina carponi toccando il pavimento a passettini per scoprire ogni angolo fascinoso della stanza.
Come sono buffo! Quei capelli ancora incolti e riuniti a ciuffetti come quelle zone desertiche in cui è possibile ogni tanto incontrare sprazzi di sparuta vegetazione, gli occhi osservatori del mondo come quei giovani falchi che dall’alto guardano per la prima volta le fresche prede, nasino già grandicello con quelle narici larghe come caverne fortificate e limate dalla forza d’urto marina, visetto paffuto e goffo come quelle nuvole schive che appaiono qui e là nel cielo nelle mattinate di settembre; insomma, l’aspetto pauroso su cui leggere segni lievi di una nascita dolorosa eppur felice.
Come felice? Ebbene sì, impacciato ma felice.
Non è stato, tuttavia, un parto facile. Ricordo distintamente quei mesi in cui mi divincolavo nella placenta di madre natura, quei giorni in cui spesso mi mancava il nutrimento sanguigno della mia tanto amata genitrice, quegli istanti in cui ricevevo solo parassiti nel grembo vitale come feto abbandonato al suo malandato destino.
“Oh, quali ignari lotte, quali amari calici, quali cadute disperate mi aspettarono!”. Protetto prima dall’amato ventre, toccò anche a me il dolore del parto. Natura, madre nostra, perché ci illudi che vivremo felici per spingerci nell’oblio e nella sofferenza? Perché ci propini le doti di benevola Penelope e saggi, altresì, il nostro fisico scuotendoci, come Ulisse, nell’oceano delle amarezze? Siamo poveri esseri relegati a vivere sul ciglio di un burrone dove refoli giocano con il nostro equilibrio precario.
A un passo da me, il senso del vuoto. Pronto a viaggiare per quella breve e intensa discesa che ti precipita dall’utero materno alla vita vera. Eccolo là, il tunnel. Ecco come innocente devi affrontare quel percorso amaro. Sei conscio che è necessario quel passaggio perché ti renderà Uomo; nondimeno vorresti evitarlo.
Ricordo bene, quattro anni fa, i momenti del travaglio. Rimembro, chiaramente, i miei dubbi e i miei interrogativi. Madre mia, perché ti vesti da Matrigna? Forse beltà natura non è sempre posto adatto a tutti noi? Smetti ti prego di cacciarci dal tuo eden alla volta dell’inferno vitale. La mia bussola era la sensibilità come sempre e mi dirigeva verso pensieri insicuri. Troppa è la paura di conoscere i pericoli per il cagionevole essere umano. La diversità ci terrorizza e non siamo spesso pronti ad accettare quello che non ci appartiene. Il nostro banchetto di esistenza non è luculliano e non siamo al cospetto di un mondo anfitrione.
Così è successo che mi hanno diagnosticato il tumore. Un nome, il cui eco risuona in tutti i corridoi e che solo il pronunciarlo toglie la voce alle gole più potenti. Non ci è ancora dato di spiegare i motivi per cui accade. Non ho ben capito perché è toccato proprio a me. Nessun tiranno Dionigi arriverà a spostare quella spada di Damocle che penzolerà sopra il nostro destino. Insomma, quello sarebbe stato il momento delle lunghe battaglie e delle sofferenze inevitabili. Come reo al patibolo, si presentava davanti a me il boia vestito di rosso sanguigno che, con un solo gesto della mano, voleva infliggermi il peso della ghigliottina sul collo. Come mai dobbiamo sopportare questo, Madre? A che scopo un parto così dolente? Sbagliavo tutto. Chi ti procrea, sa perfettamente come e quando agire. Perché mamma aquila lascia andare nel vuoto il giovane aquilotto? Qual è il senso del leoncino abbandonato alla caccia? Il feto deve scoprire da solo la via d’uscita verso la gioia dei suoi genitori.
Finalmente, dopo i primi sbandamenti, cresceva in me il senso della vita. È la grandezza del male che partorisce le letizie più durature. Non siamo naufraghi svagati nelle braccia di Poseidone, bensì condottieri al pari di Achille. Possiamo decidere se offrire il nostro tallone scoperto al fato infausto o combattere con le nostre armi migliori per vincere gli imprevisti. Il cuore e la mente ci conducono nei lidi floridi se solo crediamo in noi stessi. I nostri fari hanno tre nomi precisi: umiltà, speranza e determinazione.
Ho compreso di far necessità virtù e di trarre forza dalle mie esperienze, soprattutto da quelle più dure. Quest’amata natura non è maligna e non merita di scaricargli, addosso, le colpe delle nostre debolezze. Il libero arbitrio ci offre consapevolezza e la ragione ci concede le mani per spazzare la polvere dal nostro animo. Il mio amore verso la vita non è mai crollato per un solo istante.
Con questi principi, ho compreso che tutto ha un senso: la pioggia come il sole, il buio come la luce, il dolore come la gioia. Anzi, la maturazione è risultato della lotta alle amarezze.
Insomma, il valore della felicità nasce dalle piccole e grandi conquiste sudate. L’immensità del vivere è scritta nel gusto dell’unicità degli istanti.
Due anni dopo, sono guarito dall’odiata malattia. Quando ho toccato il responso che annunciava la sconfitta del tumore, ho provato una contentezza immensa. Quell’attimo non è stato breve, quell’attimo di felicità dura ancora oggi.
Ci siamo. Tocca a me uscire dal ventre, ma questa volta non ho paura perché ho imparato a gioire del sapore di vincere le lotte, il sapore della nascita.
Simone Guaragno
(Tratto dalle pagine: Pagine 36-37-38 della raccolta di racconti "Oltre l'Argine" )