![]() La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi a cura di Lorenzo Spurio Prefazione di Sandro Gros-Pietro Postfazione di Amedeo Di Sora PoetiKanten Edizioni, 2015 ISBN: 9788899325206 Descrizione: Lo scrittore e critico letterario marchigiano Lorenzo Spurio ha raccolto in questo volume una serie di interviste fatte negli ultimi anni ad esponenti di spicco del panorama culturale letterario legate all’universo della Poesia. Sandro Gros-Pietro nella prefazione osserva: «Per usare la metafora scelta dall’autore, la poesia è una parola di seta, tanto elegante quanto resistente e tenace, pure nella sua leggerezza dell’essere. Il merito maggiore di Lorenzo Spurio, per il quale non smetteremo di essergli grati anche negli anni a venire, è quello di non avere voluto, neppure come idea peregrina o barlume montaliano, propinarci l’ennesimo repertorio sulla poesia italiana d’attualità, cioè una sorta di distillato d’autore sui nomi fondanti e significativi dei bravi poeti che rappresenterebbero il nostro tempo. Lorenzo Spurio non è, dunque, caduto in quel collettore oscuro della vicenda poetica che gorgoglia solo di presunzione e di collusione con il potere editoriale, e che compila le classifiche di merito tra i poeti italiani con la risibilità truffaldina delle hit parade canzonettare, ma al contrario si è mantenuto fedele a una concezione di “viaggio nella conoscenza poetica d’attualità». Tra i poeti intervistati figurano Corrado Calabrò, Marzia Carocci, Ninnj Di Stefano Busà, Fausta Genziana Le Piane, Dante Maffia, Francesco Manna, Fulvia Marconi, Julio Monteiro Martins, Nazario Pardini, Franco Pastore, Renato Pigliacampo, Ugo Piscopo, Anna Scarpetta, Luciano Somma, Antonio Spagnuolo, Rodolfo Vettorello e Lucio Zinna. In appendice una sezione dedicata alle interviste di alcuni giovani promesse poetiche: Iuri Lombardi, Emanuele Marcuccio, Annamaria Pecoraro e Michela Zanarella. All'interno del volume figurano anche poesie proposte in lettura e per un commento ai poeti intervistati. Tra i classici: Marino Moretti, Corrado Govoni, Leonardo Sciascia, Alda Merini, Dario Bellezza, Amelia Rosselli, Antonio Machado, Pedro Salinas, Walt Withman, William Butler Yeats, Sylvia Plath, Bertolt Brecht, Charles Bukowski, Wislawa Szymborska; tra i contemporanei: Paolo Ruffilli, Elisabetta Bagli, Mia Lecomte, Sandra Carresi e Giorgia Catalano.
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"È anche una pagina bianca, una tela bianca su cui sono caduti i segni grafici del titolo a significare una specie di archetipo dell’assoluto, lo spazio labile ed evanescente della mente su cui si è posato il tratto grafico di un armadio in stile antico , stilizzato nelle linee, ma angosciante per i rimandi di senso; un disegno preparatorio di un quadro più ampio, allusivo, ad indicare un ingresso verso l’ignoto, il vuoto, il niente, l’illusione e l’oblio che é la mente umana." ![]() “L’OPOSSUM NELL’ARMADIO” di LORENZO SPURIO Dati 2015, 200 p., rilegato Editore Poetikanten (collana Orsa maggiore) RECENSIONE A CURA DI LUCIA BONANNI “Tutti abbiamo una vita interiore. Tutti sentiamo di far parte del mondo e nello stesso tempo di esserne esiliati. Bruciamo tutti nel fuoco delle nostre esistenze. Abbiamo bisogno di parole per esprimere ció che abbiamo dentro.” (P. Auster) E Spurio riesce a fissare ogni parola dei suoi racconti sulla pagina, in un miraggio, in un dubbio, in un grano di luce, nei cuori appassiti, nei silenzi del tempo, tra le spume del mare e negli sbuffi di vento per comunicare ció che hanno dentro i personaggi delle sue scritture che altro non sono che lo specchio letterario di quelle persone in cui incontriamo noi stessi. Se ne “La cucina arancione” la dominante cromatica erano i due colori primari, il giallo e il rosso, mescolati insieme a formare l’arancione, in questa nuova fatica letteraria, “L’opossum nell’armadio”, la dominante cromatica é il bianco. Il bianco é dato dalla somma convenzionale di tutti i colori dell’iride, ma in esso tutti i colori scompaiono perché tale colore é un muro di silenzio, un non-suono, é la pausa tra una battuta e l’altra di un’esecuzione musicale che preclude ad altri suoni. Il bianco é uniforme e immobile, ma sa addolcire i dissidi di una vita difficile; resta pur sempre un topos pauroso, incognito, vuoto, indefinito, ambiguo, rifugio anche del proprio doppio mostruoso. Colore che spaventa gli artisti perché crea l’angoscia della pagina e della tela vuota, una superficie in attesa di un segno, di una parola, di un colore. I poeti futuristi usarono gli spazi bianchi in maniera forte e visiva per dare maggior rilievo alle analogie mentre per i poeti ermetici gli spazi bianchi rappresentavano pause lunghe, attesa, silenzio. Nelle arti visive il rapporto tra vuoti e pieni crea tensione e immaginazione, infatti l’uso del chiaroscuro é finalizzato ad inserire le figure nello spazio; in letteratura il vuoto coinvolge chi legge nella narrazione. L’ambiguitá del colore bianco é annullamento, quiete, riposo dall’infelicitá e precorre le maggiori opere della letteratura fantastica per cui il contrasto che si nota in una certa letteratura “perturbante” non é il bianco opposto al nero, che é un non-colore, ma che fa risaltare qualsiasi colore, ma é il bianco opposto al rosso che é il colore del sangue, figure al contempo di contenuto e di significato, rintracciabili nelle opere di M. Shelley, B. Stoker, J. Verne, E. Melville. Nell’antichità classica la bellezza era Leukos e Omero ci dice che bianche erano le braccia di Nausicaa; ma candido é anche l’abito delle spose e quello dei comunicandi; di un bianco mortale sono gli spettri, il viso e la camicia dei condannati, le solitudini glaciali e il freddo, i denti del vampiro, la pelle della balena bianca, ed anche la dentatura dell’opossum che ha denti acuminati e taglienti. Chi ama il bianco tende al fatalismo, ma non per questo é privo di idee creative e sa andare oltre il visibile. Come ho giá detto, a dominare il testo di Spurio é proprio il colore bianco, dalla copertina a quelle pagine interne che fanno da spartiacque tra un racconto e l’altro , fogli bianchi a creare suspance , pausa, attesa e dove la definizione scientifica del piccolo marsupiale, l’opossum, fa da contraltare e da nota introduttiva al titolo di ogni singolo racconto. Nella narrazione il bianco è per lo più alluso, evocato e soltanto poche volte nominato come nel caso della rosa bianca, delle particole dell’ostia, della velina dei confetti, delle foto in bianco e nero… La stessa copertina è uno spazio bianco, una distesa di ghiacciai millenari, le cime innevate, una maschera veneziana, il vestito di Pulcinella e il viso di Pierrot. È anche una pagina bianca, una tela bianca su cui sono caduti i segni grafici del titolo a significare una specie di archetipo dell’assoluto, lo spazio labile ed evanescente della mente su cui si è posato il tratto grafico di un armadio in stile antico , stilizzato nelle linee, ma angosciante per i rimandi di senso; un disegno preparatorio di un quadro più ampio, allusivo, ad indicare un ingresso verso l’ignoto, il vuoto, il niente, l’illusione e l’oblio che é la mente umana. Ma è anche un richiamo ineludibile alla lettura che essa offre e riesce a mediare. Il significato intrinseco delle diverse definizioni scientifiche dell’opossum si palesa solo a posteriori con epifanie intuitive, manifeste ad una seconda lettura veramente analitica, successiva ad un primo approccio che si appoggia alla globalità della narrazione. Ogni citazione trova posto in cima alla pagina un maniera da lasciare vuoto lo spazio bianco per creare attesa e dare modo al lettore di annotare le proprie impressioni e creare un sunto introduttivo delle caratteristiche di ciascun personaggio coinvolto nella storia e completamento del titolo stesso. Quelle che Spurio enuncia sono come proporzioni matematiche del tipo 36:9 = 24:x e in cui esiste sempre un’incognita da risolvere e ciascuna caratteristica del marsupiale si rivela non solo in linea col titolo del racconto, ma ambedue si annullano e si completano a vicenda in una circolarità temporale. Ed ecco allora che la coda prensile rimanda alla corda con cui il povero Saverio pone fine alla propria vita, è un animale che patisce la luce sta a comportamenti e fatti che non avvengono alla luce del sole e sono attuati da animi scuri, è un animale opportunista rimanda al cinismo del protagonista che da bravo giovane qual era, divine un approfittatore senza scrupoli. Ancor prima dei racconti Spurio colloca citazioni letterarie a lasciar presagire le tematiche del testo: “… non avrei potuto chiederlo a qualcun altro perché dopo tutto era sangue mio” e “Il manicomio è pieno di fiori, ma nessuno riesce a vederli” sono i periodi estrapolati dalle opere di J Laughlin e M. Tobino. Quindi sangue e mente, le due essenzialità dell’essere umano , quali argomenti introduttivi e “nervatura psicologica dei personaggi”; quindi il colore del sangue, il rosso, e quello della mente, il bianco, a delineare i contenuti di un testo che si configura come una sorta di diario, scritto non dall’autore, ma dagli stessi protagonisti-persone “apparentemente slegati fra loro, ma uniti da un senso esistenziale” all’interno di quel manicomio chiamato vita. “A volte cade un nome in questo spaventoso deserto, e ogni granello di sabbia fiorisce” (E, Canetti). “Recuperare le strutture di significato, il segno cifrato dell’angoscia e dell’invisibile e dell’oltre realtà che ci circonda”(E. Borgna) richiede di attenzionare gli orizzonti tematici di ombre, contraddizioni, antinomie, speranza, disperazione, possibilià, impossibilità, angosce. deliri, naufragi, trionfi. L’uomo inserito nei rapporti con la comunità diviene consapevole della sua persona, della propria coscienza e della propria intimità per cui la solitudine come scelta personale e come libertà di scelta nei confronti di certe situazioni, smorza il sopraggiungere del disagio e favorisce la riflessione. L’angoscia è corrosiva e spesso è la solitudine che innesca comportamenti devianti ed è sempre la solitudine come lontananza e separazione dagli altri a portare solitudine interiore in cui tutto si riflette in modi ambigui e abbaglianti da cui si liberano sofferenze acute e dolorose. Ma anche”solitudine di nascondimento e come difesa dalle angosce e dalle aggressività spietate e opache”(E.Borgna). “… fuggi nella tua solitudine! Io ti vedo assordato dalla fracasso dei grandi uomini e punzecchiato dal fracasso degli uomini piccoli” sono le parole di F. Nietzsche a dire la propria condizione. Nell’isolamento l’individuo fa esperienza di vuoto che tende a riempire con forme esistenziali effimere e prive di senso. “La solitudine e l’isolamento come metafore dell’ansia. Nella solitudine il tempo interiore scorre nella sua tensione di passato, presente e futuro, nell’isolamento si frantuma e passato, presente e futuro si rincorrono inutilmente”.(E.Borgna). “Sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: il presente del passato che è memoria, il presente del presente che è visione e il presente del futuro che è attesa” dice S. Agostino. Ma nel nelle vicende dell’esistenza e nel linguaggio delle cose, l’ansia, che fa parte della vita, può far emergere possibilità nascoste e nuove negli individui che presentano sintomi di tal genere anche perchè “la sensibilità e l’intelligenza sono molto più alte e questo accresce la sofferenza”(E.Borgna) e conducono ad uno Stimmung (stato d’animo) in cui “Quando tu fissi Medusa, è lei che fa di te quello specchio dove,trasformandoti in pietra, ella guarda la sua orribile faccia e riconosce se stessa nel doppio, nel fantasma che tu sei diventato dopo aver affrontato il tuo occhio”. (J.P. Vernaut). Nel testo di Spurio ci sono le tante persone “lontane dal rumore della terra e dal silenzio del cielo”(F. Pessoa), ci sono i vagabondi dell’anima, i reitti, i derelitti, ci sono quelle fasce sociali emarginate a cui non si dà spazio in un programma di aiuto e reinserimento nel tessuto etico-sociale. Si potrebbe anche eccepire, dicendo cosa ha che vedere il discorso sull’ansia, se quella che si nota nei racconti è una gamma di comportamenti per lo più dettata da veri e propri istinti. Però c’è da dire che l’istinto, che deriva dal verbo “eccitare”, è la spinta ad agire in un determinato modo, è un impulso, un’esigenza naturale senza l’intervento del ragionamento e che determina le conseguenti reazioni. “La contemplazione del tempo è la chiave della vita umana. È il mistero irriducibile sul quale nessuna scienza fa presa”(S.Weil) e sono “Le esperienze letterarie come quelle artistiche (che) ci fanno cogliere immagini diverse e radicali dell’ansia e dei modi di viverla… e le esperienze poetiche e narrative ci consentono di viverle come condivise e come vissute da altri in una circolarità che oltrepassa la distanza del tempo e dello spazio”(E.Borgna). “Nella casa tutto rimaneva fermo ai tempi andati (e) l’olio si guastò dentro quei silos di acciaio” (da racconto Livello –1). L’immobilità del tempo che si protrae nel piano sotterraneo, ovvero nel livello –1, in cui la famiglia aveva riposto sempre cianfrusaglie; la fissità del tempo del vecchio pentolame di rame che contrasta con oggetti della modernità; lo stereotipo del tempo che rende indifferenti al dramma interiore, vissuto da Saverio allorché è costretto a licenziare del personale; l’inesorabilità del tempo che esplode nella violenza delle immagini che Manolo è costretto a vedere; la crudeltà del tempo che innesca una certa insensibilità nell’animo di Mariuccia che “pianse qualche giorno, ma poi tutto tornò come prima; le fauci spalancate del tempo “in (quella) cantina (dove) i vetri infranti non vennero rimossi e nessuno vi si recò più”. “Quando la cattiveria trova validi alleati, allora si è spacciati” e Valentina si ritrova a dove subire tormenti e offese con momenti di esclusione e profonda solitudine perché “era bastato un attimo per catapultarla nel mondo infelice delle donne, manipolate dai vigliacchi inganni degli uomini”. Lei che mai aveva incespicato a causa di quella incoerenza emotiva che contraddistingui gli adolescenti; lei che si era persa a fere una cosa senza pensare e non aveva fatto molta resistenza a Renato, suo coetaneo, che altri non era,se non un “ingannatore seriale; lei che “era stata uan conquista maledettamente facile” e adesso vedeva le sue foto sui cellulari degli altri compagni; lei che aveva provato grande vergogna, ma che poi era tornata a rinascere proprio come l’Araba Fenice. (dal racconto Un paio di scatti). ”… e col ricavato me ne andai con i miei amici a Forte dei Marmi. Non riuscii a bagnarmi in quell’acqua, sapendo che la diffusione della nonna ormai era completa e che abitava ogni parte dle pianeta”. In questo racconto, Dal fiume al mare, Spurio più che trattare il tema della morte, tratta quello della sepoltura; ne “La cucina arancione” lo fa con ironia e una punta di scetticismo, parlando dell’ibernazione, ma qui affronta quello della cremazione ed il protagonista pur non avendo verso di lei un affetto profondo per “una questione di intenti taciuti, di messaggi empatici, (per) un sapersi guardare negli occhi e accettarsi per come siamo” si costruisce come persona che dimostra pietà e compassione per la nonna defunta e si distingue per “un qualcosa di indignato” verso le cugine che per mancata accortezza fanno scivolare l’urna e spargere la cenere sui tappetini dell’auto. (dal racconto Dal fiume al mare) La definizione dello yapok acquatico richiama l’acqua, sia essa di fiume che di mare; l’uno come metafora della vita che scorre e l’altro come simbolo della vita nel suo ritmo immutabile, ma anche di nutrimento, di maternità, di misteriosità dell’animo e desiderio di entrare in contatto con le proprie emozioni. “ Di là del finestrino sfilava un mare scuro e fisso, difficile da comprendere del tutto. Alla mente non affioravano ricordi e quell’acqua oleosa sembrava pretendere alla mia coscienza una condanna spaventosa: l’annegamento”. Studente in medicina, il protagonista del racconto Due o nessuna, si impegna in ogni modo a trovare un rimedio efficace per il “riavvio del sistema cognitivo” della propria madre che ha perso la memoria, “nostra coscienza e nostra ragione”, e poi, preso dallo sconforto, la asfissia col gas , tenta egli stesso il suicidio e alla fine, pur non ricordando più nulla, cerca di “far capire al mondo che (mia) sua madre era già morta da tempo e che (io) lui non (sono) è un assassino”. “Mi ero ribellato. Qualcosa dentro di me aveva deciso di mettere fine alle caricature del mio compleanno.” E il ragazzo di buona famiglia, dalla reputazione immacolata, si defila, cerca degli escamotage per negarsi ai parenti, diviene insofferente, se ne va a vivere per conto suo e proprio mentre girovaga alla ricerca della “calma interiore” si scopre “quale animale opportunista” verso le “seducenti professioniste del lavoro più antico del mondo” mentre egli stesso le ricompensava adeguatamente. Così, per propria convenienza, convince la ragazza a “continuare il suo lavoro” cosa che a lei “sembrò una buona idea” senza minimamente pensare che “aveva solo cambiato città e padrone” mentre lui, l’uomo dabbene, lascia gli studi universitari, si trova un lavoretto e passa le ore a casa a sorseggiare birra, “visto che il buon stipendio di Klara consente (loro) di vivere agiatamente”. (da L’ultimo compleanno). “A sedici anni aveva già letto più di quaranta romanzi e non sapeva chi fosse sua madre”. La sua era una vita monotona, triste, solitaria, talmente immutabile e vuota che un giorno che arrivò persino ad immaginare che dietro al bancone del bar a servire la Coca Cola non ci fosse una vecchia arcigna, ma Luana, la bella ragazza, con la quale poteva parlare e confidarsi. Certo quella era soltanto una visione “smelancolata” come le circonferenze che cercava di tracciare a mano libera e “Le due valigie”, lasciate in eredità dalla nonna in cui si aspettava di trovare una cospicuo vitalizio che permettesse a lui e al padre di condurre una vita più rilassata. Continuò comunque gli studi e all’università non scoprì “una legge sulle circonferenze smelangolate”, ma dalla letteratura imparò molto di più. “La vita è ciò che immaginiamo in essa”, dice F. Pessoa, e Spurio non dimentica di trattare l’inquietudine e il disagio in modo partecipe e accessibile per veicolare temi e contenuti quantomai attuali e lo fa con grande maestria senza mai perdere di vista il piglio felice della propria scrittura. All’interno dei dialoghi narrativi di questa silloge, “dal taglio leggermente più intimista”, non ci sono i vari Franknstein, i Dracula, le Moby Dick, le ballate dei vecchi marinai, gli spettri luminosi e neppure il gusto per l’orrido, ma tali stralci di contenuto appaiono sotto forma di ansia, solitudine, abbandono, pazzia, indifferenza, distanza, cattiveria, cinismo, violenza di genere, erotismo, sfruttamento, indifferenza, atti di carattere che sfociano in equilibri fugaci, tradimenti, pedofilia, suicidio, disagio giovanile, vulnerabilità, isolamento, solitudine e conflitto interiore. Attraverso la connaturata sensibilità e l’attenzione alle problematiche sociali, l’autore delinea un quadro autentico del dinamismo sociale, vero nella stesura dei contenuti che talvolta possono fornire motivo di sconcerto, ma che alla fine si rivelano sempre discreti nella forma didascalica per profonda riflessione in un progetto che non è soltanto narrativo, ma anche scientifico. E non manca nelle parole di Spurio l’attenzione all’ambiente, alle città, ai luoghi, all’ecologia, ai danni ambientali, ai disastri, alle marginalità ed egli ne scrive in maniera sobria, discreta, velata, quasi accennata. Nel racconto “L’ultimo compleanno”, fa muovere i suoi personaggi in una città, associata all’immaginario collettivo per il sisma avvenuto nel corso dell’anno 2009: L’Aquila. L’autore vi richiama l’attenzione per dire che, si’, gli eventi che l’anno investita, sono stati assai disastrosi, ma che ancor più disastroso è stato il terremoto burocratico che non ne ha permesso una vera e propria ricostruzione in un “paese di pozzi, dove sempre si beve l’acqua con la paura che sia avvelenata”(da F.G. Lorca a pag. 93 del testo), “Eppure (ognuno come) l’erica resiste, rimane attaccato alla (propria) terra, sempre e comunque, (dal film Cime tempestose a pag. 45 del testo). Onorata di questa ulteriore lettura, per richiamare ancora una volta il bianco nella simbologia della neve e in quella del mare e rendere omaggio all’autore per questo nuovo lavoro, “Loppossum nell’armadio”, testo di grande valore scientifico, letterario e umano, termino con i versi di due poeti del ‘900, suoi conterranei: Paolo Volponi e Franco Scataglini: “Sono scesi i passeri a branchi/dai calanchi di neve;/si sono posati tutti insieme/sulle peste davanti a casa/come se la tua veste/tenessero per gli orli,/sfrenati nel volo/quasi per una pena nel cuore”. “Le case sopra un lembo/de scoio, i pini a vento;/ansava el mare,/ el grembo de l’aria in movimento”. Ad maiora Lucia Bonanni Le poesie di Spurio “grattano dentro” a tal punto ![]() Neoplasie civili di Spurio Lorenzo Dati2014, 72 p., rilegato Editore Agemina Edizioni “La copertina! Sì, la copertina! Osservate bene la copertina, quando scegliete un libro da leggere. Nella composizione dell’immagine ponete attenzione ai colori, alle geometrie, al dinamismo delle linee e poi ricercate il contenuto, la forma, il punto di interesse e le linee di forza che attraversano l’immagine stessa. Leggete bene il titolo, soppesatelo, immergetevi in quelle parole e lasciatevi trasportare dall’onda emotiva che sono capaci di suscitare. Non dimenticate di guardare il tipo di carattere usato, la dimensione con cui è scritto e la disposizione nello spazio della pagina. Trattate il libro con cura e sfogliatelo con delicatezza. Leggetelo e gustate parola dopo parola”. Era la solfa che ogni giorno propinavo agli alunni per indirizzarli alla lettura. Ed è il medesimo criterio che ho seguito io stessa, quando mi sono trovata a leggere il testo “Neoplasie Civili”, “prima prova poetica” di Lorenzo Spurio, edito nelle Edizioni Agemina. Nella dominante paesaggistica della copertina “l’aria (è) dura e avara”, si erge e circonda un binario con le traversine di legno e il fondo dissestato, la massicciata intrisa di catrame come lo è l’arenile in cui si insinuano le acque di un pelago che non è certo un locus amoenus e, similmente ad “Alice nel paese delle meraviglie”, potrebbe anche configurarsi nel lago creato con le lacrime dell’Umanitá, per i troppi affanni diventata ad un tratto minuscola, e che adesso affoga con spasmi e dolori. È un luogo- soglia con quella costa scura e il tramonto offuscato da nuvoloni neri. Quello che si vede è un fotomontaggio e il binario, ripreso con la lente di un grandangolo spinto , più che di rette che vanno a due a due, si assimila a rette divergenti che possono avvicinarsi o allontanarsi, secondo l’idea, al rimestare cupo delle acque. Però, se si pone il libro su quello che è il lato minore del rettangolo, allora qual binario può anche dare la sensazione di una “Stairway to heaven” che magari non giunge fino alle Stelle fisse, ma è pur sempre paradiso , e i colori foschi sono soltanto le scorie lasciate sul terreno dalle anime ormai vestite di bianco che si elevano verso il sublime. Dualitá vita- morte in questa rappresentazione per immagini, un inno alla vita che si snoda nell’intero percorso dei versi che Spurio scrive con sincerità d’animo e di cuore. E poi il titolo con tutte le implicazioni di senso a non lasciare spazio ad altro e quel colore di fiamma ardente che richiama passioni e deliri a dire tutto il disagio esistenziale dell’Umanità, evocato dalla precisione lessicale che in un attimo trafigge gli occhi e il pensiero. “La poesia è la vita che abbiamo dentro”, dice Alda Merini, ma per scrivere serve anche l’ispirazione. In questo caso il movente che porta Spurio a comporre questi versi è riconducibile a finalità di ordine sociale e, attraverso “Quelle che sono le frasi motrici del libro”, riuscire a trasmettere “Un messaggio di speranza e la necessità di unione e di perseverare anche se si naviga in cattive acque in un mondo in cui tutto è cupo e appestato”, dimostrando impegno e coraggio nel dire cose che nessuno vuol sentire, facendo del testo uno strumento di analisi di un’esperienza emotiva vera e complessa. Spesso “a las cinco de la tarde” in questo mondo che si fa arena, si consumano eventi tragicamente imprevedibili che non destano ansie in coloro che, per apatia indifferenti a quanto succede, nei pressi della plaza si limitano a consumare coda con patate. Non a caso a pagina 5 si evidenziano i versi di Franco Matacotta, conterraneo dell’autore, insegnante, poeta, scrittore, saggista, da sempre impegnato nelle varie problematiche sociali, conosciuto ai più per la relazione con Sibilla Aleramo, la venerata “Alma Mater” che gli permise di studiare i Taccuini inediti campaniani, da lui poi pubblicati in “Prospettive” e “Taccuini”. “La verità è un accetta che spacca il bue per la spina dorsale”, dice lo stesso Matacotta nelle pagina di “Neoplasie civili” e Spurio ben sa che la verità non la vuol sentire nessuno e sa anche, come lui stesso scrive, che “La battaglia si vince solo intentandola”. Ecco quindi che “al cominciar de l’erta”, come duca prende per mano il lettore, lo guida nel solco dei versi, lo fa girare, lo modella, lo plasma, lo rende muto, malleabile, lo sorprende, lo confonde e lo inganna; alla fine, novello Ulisse, scalda l’arco alla fiamma, lo lavora, lo ammorbidisce e poi deciso lancia la freccia attraverso le scuri allineate, qui ravvisate nei versi a tirar “Giù la serranda” del componimento, facendo “tremare le vene e i polsi” per indurre il lettore a districare quel groviglio di emozioni che si impossessano dei sensi. “Le lacrime di una madre non trovano fine”, “La gente piangeva, stringendo una bandiera rossa”, “ I bambini rubavano il mare/con gli occhi bagnati”, “E le oche spargevano merda sul prato”, “l’abito del torero/non aveva luccicato”, “Dio piangeva a fiumi, /genuflesso su carboni ardenti,” versi che fanno trasalire, che lasciano gli occhi umidi e il singhiozzo a fior di labbra. Non difettano tali componimenti di riferimenti allusivi a quelli che sono gli animali infernali onde connotare superbia, avidità e lussuria, mali che attanagliano la società in una morsa neoplastica di indifferenza etico-morale. Nella connotazione evocativa delle immagini ci sono il leone, la lonza e la lupa, basta cercarli che spuntano tra le righe a mordere e a graffiare con rinnovata avidità come pure si riscontrano in quelle “ oche cignoidi starnazzanti” che altro non sono che le opulente matrone di campaniana memoria, i cui striddii per altro sono annullati dalla pietas amorevole che prende forma in un “quadrifoglio/che poi in realtà era un trifoglio”, raccolto e donato a colei che “era stata una di noi”, sempre costretta ad indossare “mise scafandriche” da chi per inveterata abitudine usava indossare soltanto mise “più austere”. Ma davanti alle figure infernali Spurio non si lascia intimorire, non indietreggia, ricerca “una via unica”, la ricerca nelle piazze, nei “torok di polvere”, nel fiore giallo raccolto “al margine di un marciapiede”, nei “trucioli incastrati/ nella suola di gomma” e gli alberi abbattuti nel cuore verde di Istambul, nei barconi e nelle navi che affondano tanto nel canale di Sicilia come nell’Oceano Pacifico. E mentre rivive “una vecchia ballata di Battisti”, ricerca verità nel desiderio di dare poesia agli uomini e alleviare le pene di molti proprio come dice Pavese in una bella pagina di diario, ben consapevole di sporcarsi “le punte delle scarpe” e darsi in pasto a quanti del verso poetico fanno mero strumento di notorietà e non matrice di sentimenti riflessi in impegno e percezione profonda del reale. Pertanto lo straniamento che l’autore ricerca non è mai dettato dall’angoscia, bensì dalla presa di coscienza fino a giungere alla protesta e allo sdegno. La prosa poetica di Spurio può definirsi quale scrittura antropologica, un saggio in versi, un trattato di etica e di ecologia civile, disseminata qua e là da eccezioni lessicali in forma diversa dall’italiano come agemine ad impreziosire il tessuto lessicale di ciascun componimento. Versi mai banali, in cui talvolta il lemma si fa ardito, affilato, pungente, quasi dissacrante, ma mai irriverente nella ricerca della verità che rende liberi, consapevoli, smuove coscienze, distrugge armonie e ne crea altre e recupera il senso dello stupore, della bellezza, del pudore, del dialogo e del confronto con la vita, costringendo Atropo ad appoggiarsi “ad un fuso impolverato”, stanca e sfinita per il suo incessante e continuo recidere fili. Versi mai usuali che inchiodano l’individuo alle proprie responsabilità, forse invisi a chi ha l’orecchio delicato, sotto una “pioggia acuminata” di sentimenti veraci che rigenerano dentro un paesaggio di identità in uno scenario metaforico in cui la tassonomia delle metafore rivela tipi di immagine, analogie, comparazioni, al fine di creare un contatto con la sensualità emotiva del lettore. In questo inferno che è solo dei viventi, “città invisibili” si assimilano con i paesaggi interiori di ciascuno di noi, proiettati verso l’esterno mentre l’autore con gran maestria di rabdomante scopre acqua chiara anche dove il pantano si fa denso di fango. Le poesie di Spurio “grattano dentro” a tal punto da grattare via tutta la crosta fino a far sanguinare l’anima, in maniera intensa, profonda, sensibile e puntuale, attraggono e proiettano verso dimensioni paraboliche di intensa umanità. Alla maniera di M. V. Llosa mi sento di dire che leggere, come scrivere, è protestare contro le ingiustizie della vita, quindi attuare “ Live, travel, adventure, bless, and dont’ be sorry”, seguendo quel sentiero “On the road” che si dipana anche attraverso le pagine di “Neoplasie civili” e che già si profila come esperienza privilegiata di lettura nell’esperienza del reale. Ad maiora Lucia Bonanni ![]() L’ombrellone giallo di Giuseppina Vinci Collana Indaco – Poesia 4.4.2014, 74 p., brossura Curatore Spurio Lorenzo ISBN 978-88-98643-05-9 TraccePerLaMeta Edizioni Giuseppina Vinci è nata a Lentini (SR). Docente nella scuola pubblica, tutt’ora è in servizio presso il liceo classico “Gorgia” della sua città. Ha pubblicato due libri di poesie e racconti: Battito d’ali (Aletti Editore, 2010) e Chiara è la sera (Angelo Parisi Editore, 2012) e un libro di saggistica breve, Riflessi letterari (TraccePerLaMeta Edizioni, 2013). Ha pubblicato altresì in Cento voci verso il cielo, Antologia poetica e in Antologia di poesie “Il Forte”. Il nuovo libro, dal titolo evocativo e ben rappresentato dall’immagine di copertina, è L’ombrellone giallo che ci rimanda, quasi, a una poetica dell’essenziale o delle cose perdute. Nella silloge trovano posto anche alcuni racconti di media lunghezza che testimoniano ancora una volta, com’era stato per il suo Chiara è la sera (Angelo Parisi Editore, 2012) la versatilità della scrittrice nei due generi letterari e l’indiscussa padronanza dei rispettivi stili. L’ombrellone giallo si apre con una nota critica introduttiva firmata da Lorenzo Spurio nella quale il critico osserva: “[L]a poetica della Vinci ha come desiderio manifesto quello della lode, dell’encomio al Creato e al suo Creatore che nasce dalla riconoscenza e dall’accettazione del Peccato che, in quanto uomini, siamo costretti a portare. Per questo alcune liriche diventano addirittura delle preghiere, dei testi che, musicati, potrebbero trovare la loro locazione tra la predica e l’eucaristia in una celebrazione religiosa: Tutto tende a Te,/ tutto parla di Te,/ tutto è in TE!”. Il libro, edito da TraccePErLaMeta Edizioni, è disponibile alla vendita sul rispettivo negozio online della casa editrice (www.tracceperlameta.org) e su tutte le vetrine online specializzate nella vendita di libri. ![]() Gentilissimi, vi scrivo per informarvi che il volume antologico del Memorial Pablo Neruda al quale avete preso parte lo scorso settembre a Firenze, è stato stampato. Ci teniamo ad informarvi perché reputiamo che sia davvero un bel volume, ricco nei suoi contenuti che può servire come valido strumento per ricordare la piacevole serata che abbiamo trascorso insieme in onore del grande poeta cileno. Il volume si apre con una mia prefazione e contiene altresì un commento alla poesia di Neruda scritto da Annamaria Pecoraro “Dulcinea” e una nota di postfazione a cura di Cristina Biolcati. Accompagnano inoltre i vostri testi, alcune liriche di Neruda proposte in doppia lingua (italiano-spagnolo). Il volume ha prezzo di copertina fissato a 10€ a cui vanno aggiunti 4€ per le spese di spedizioni con sistema di invio tracciabile. A partire dalla terza copia, non si pagheranno le spese di spedizione secondo la modalità di seguito indicata: NUMERO COPIE COSTO TOTALE –SPEDIZIONE COMPRESA- 1 14 € 2 24 € 3 30 € 4 40 € 5 50 € Altre quantità Chiedere a [email protected] Le modalità di pagamento previste sono: a) Bonifico bancario IBAN: IT-53-A-07601-10800-0010042176-08 - Intestato a: Associazione Culturale TraccePerLaMeta b) Bollettino postale CC 01004217608 - Intestato a: Associazione Culturale TraccePerLaMeta c) Paypal Indirizzo:[email protected] d) Sul nostro negozio online http://www.tracceperlameta.org/tplm_edizioni/negozio/memorial-pablo-neruda-reading-poetico/ Per i tipi di pagamento a,b e c si richiede di inviare attestazione del pagamento scannerizzata a [email protected] o via Fax al numero 0331 - 932666. Sperando di aver fatto cosa gradita, allego la cover del volume antologico e resto a disposizione per qualsiasi richiesta o chiarimento. Lorenzo Spurio [email protected] ![]() Riflessi letterari di Giuseppina Vinci EDITORE: TRACCEPERLAMETA EDIZIONI PREFAZIONE: LORENZO SPURIO COLLANA: SABBIA- CRITICA LETTERARIA PAGINE: 68 ISBN: 978-88-907190-9-7 COSTO: 9 € GIUSEPPINA VINCI TORNA CON UN SAGGIO LETTERARIO In “Riflessi letterari” parlano Leopardi, Montale, Joyce, Woolf e tanti altri autori TraccePerLaMeta Edizioni ha appena pubblicato “Riflessi letterari” di Giuseppina Vinci: un percorso tra le pieghe della letteratura italiana ed inglese. La scrittrice analizza secondo la propria esegesi dei testi che propone, opere centrali negli studi sulla letteratura, quali ad esempio alcune liriche di Leopardi , focalizzandosi su precisi ambiti letterari: il simbolismo, l’ermetismo, il modernismo inglese. La scrittura piana e accessibile a tutti e l’esposizione del suo pensiero critico su ciascun opera/autore è breve, preciso e condensato, capace di fornire all’attento lettore nuovi spunti di analisi e ricerca. Dalla prefazione del critico letterario Lorenzo Spurio si legge: «Giuseppina Vinci, docente di materie classiche al Liceo Classico Gorgia di Lentini, dà prova con questo libro di come la letteratura non solo debba essere letta, possibilmente ad alta voce e senza rumori intorno, ma di come essa debba essere interpretata, riletta, vissuta e ri-creata, perché è proprio dall’interazione che si crea tra autore e lettore che si ricavano i variopinti significati e le leggiadre possibilità di indagine dell’uomo nel mondo reale». L’autrice Giuseppina Vinci è nata a Lentini (SR), città nella quale vive e insegna presso il Liceo Classico “Gorgia”. Ha pubblicato due libri di poesie e racconti: Battito d’ali (Aletti Editore, 2010) e Chiara è la sera (Angelo Parisi Editore, 2012). Oltre alle poesie e ai racconti, ha pubblicato articoli su quotidiani nazionali e locali, tutti contenuti in Chiara è la sera e è presente in Cento voci verso il cielo, Antologia poetica e in Antologia di poesie “Il Forte”. Info: [email protected] - www.tracceperlameta.org Ufficio Stampa: Lorenzo Spurio [email protected] Una riflessione sui limiti della normalità ![]() Titolo: La cucina arancione Autore: Lorenzo Spurio Prefazione: a cura di Marzia Carocci Casa Editrice: TraccePerLaMeta Edizioni, 2013 Collana: Oltremare (narrativa) ISBN: 978-88-907190-8-0 Pagine: 237 Costo: 10 € LORENZO SPURIO è nato a Jesi (An) nel 1985. Ha conseguito la Laurea in Lingue e Letterature Straniere e si è dedicato alla scrittura di racconti e di saggi di critica letteraria. Ha collaborato con prestigiose riviste di letteratura italiana tra le quali Sagarana, Silarus ed El Ghibli. Per la narrativa ha pubblicato “Ritorno ad Ancona e altre storie” (Lettere Animate, 2012), scritto assieme a Sandra Carresi; per la saggistica ha pubblicato “Ian McEwan: sesso e perversione” (Photocity, 2013), “Flyte e Tallis” (Photocity, 2012), “La metafora del giardino in letteratura” (Faligi, 2011), scritto assieme a Massimo Acciai e “Jane Eyre, una rilettura contemporanea” (Lulu, 2011). Ha curato, inoltre, l’antologia di racconti a tema manie, fobie e perversioni “Obsession” (Limina Mentis, 2013). Nel 2011 ha fondato assieme a Massimo Acciai e a Monica Fantaci la rivista di letteratura online “Euterpe” che dirige e con la quale organizza eventi letterari su tutto il territorio nazionale. Le pagine che costituiscono questo libro sono un ricco documentario di disagi, ossessioni e devianze di varia natura che Lorenzo Spurio lega egregiamente attorno al titolo di La cucina arancione, uno dei racconti che costituiscono la raccolta. Spurio viaggia tra il realismo magico e il surrealismo, sfiorando territori vasti quali l’onirico, l’inverosimile, il paradossale e l’imprevedibile. L’autore jesino ha alle sue spalle un’intensa attività letteraria fatta di collaborazioni a riviste, partecipazioni ad eventi e pubblicazioni di critica letteraria e dalla recente curatela di Obsession – Raccolta di racconti a tema “Manie, fobie e perversioni” (Limina Mentis, 2013) con la quale, pure, Spurio ha manifestato di interessarsi al disturbo e alla componente deviante dell’uomo. Parlando de La cucina arancione, la scrittrice fiorentina Sandra Carresi ha osservato: «La cucina arancione è il luogo dove, la fantasia, le emozioni, le tentazioni, le trasformazioni, e tutte le altre componenti silenziose della psiche, hanno la possibilità di prendere vita, cambiarsi abito, prendere un volto ed anche un volo. Tutto questo, dalla penna di colui che riesce a mettere il nero e il blu sulla carta bianca: lo scrittore.Se non avete il timore, né il pregiudizio di chiamare “follia” ciò che alberga in ognuno di noi, con le proprie manie, fissazioni, timori e desideri, ma di leggere con gli occhi, la mente, il gusto, ciò che potrebbe essere, se oltrepassassimo quel limite così detto –normalità-, leggete La cucina arancione e sicuramente ritroverete le vostre “paure”, magari esorcizzate con il sorriso della confidenza». L’opera è stata pubblicata da TraccePerLaMeta Edizioni, casa editrice dell’omonima Associazione Culturale della quale Spurio è socio. Il libro può essere acquistato mediante lo Shop Online dell’Associazione TraccePerLaMeta e a partire dalla prossima settimana su qualsiasi vetrina online di libri (Ibs, Dea Store, Libreria Universitaria,..) o mediante ordinazione in qualsiasi libreria. Strade diverse, ![]() La poetessa Annamaria Pecoraro, in arte Dulcinea è stata invitata a presentare il suo libro, "LE RIME DEL CUORE ATTRAVERSO I PASSI DELL'ANIMA" a Roma, al Caffè Letterario "Mangiaparole", dove da sempre, si offrono aperitivi letterari con presentazioni di libri con la partecipazione di scrittori o poeti. Un bellissimo incontro tra la poetessa ed il suo pubblico, con lettori d'eccezione ed ospiti a sorpresa. L'evento, è stato ben presentato dalla bravissima scrittrice, Michela Zanarella ed analizzato in modo veramente esemplare, dallo scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio. Le letture sono state affidate alle splendide interpretazioni di Giuseppe Lorin (Attore Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico"), che ha veramente emozionato interpretando con anima e cuore gli scritti della poetessa del Valdarno. A sorpresa un regalo per Dulcinea, la presenza dell'attore Matteo Tosi, interprete di film e fiction, che ha declamato la poesia "Angelo caduto" di Dulcinea, deliziando il pubblico con la sua interpretazione e col suo sguardo, per la felicità delle signore presenti. In questo evento, è venuta fuori una Dulcinea diversa dal solito, infatti sono state scelte dai due relatori, delle poesie, molto impegnate, da brividi la lettura da parte di Giuseppe Lorin, della poesia "Risiera di San Sabba", che la poetessa ha spiegato, di non aver mai visitato, ma di aver scritto la poesia, ascoltando e vivendo le emozioni di un amico, che era appena ritornato da questo viaggio. Dulcinea colpisce con la sua purezza, la sua enorme sensibilità, la serata non annoia mai ed il tempo vola in compagnia delle sue parole e soprattutto delle sue poesie, bella l'interazione col pubblico presente. L'evento ha visto la partecipazione di Alessandro Bellomarini (poeta, sceneggiatore e paroliere). FB: https://www.facebook.com/pages/Dulcinea-Annamaria-Pecoraro/372751229446260 Roberto Bruno ![]() Titolo: Obsession Sottotitolo: Raccolta di racconti a tema “Manie, fobie e perversioni” Autore: AA.VV. Curatore: LORENZO SPURIO (scrittore, critico-recensionista) Casa Editrice: Limina Mentis Edizioni, Villasanta (MB) Anno: 2013 Pagine: 162 ISBN: 978-88-98946-02-0 Costo: 15 € E’ uscito il volume antologico di racconti a tema “Manie, fobie e perversioni” curato da Lorenzo Spurio
Sarà disponibile all’acquisto già dai prossimi giorni il volume Obsession, una raccolta di racconti a tema “Manie, fobie e perversioni” voluta e curata dallo scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio, per la Limina Mentis Edizioni. Il volume contiene 14 racconti che sono risultati selezionati dallo scrittore dopo ampia ed attenta valutazione di tutti i materiali pervenuti l’indomani della pubblicazione del call of paper. Nell’antologia, che si apre con una prefazione del curatore dove si analizza il tema della “deviazione umana” nelle sue varie manifestazioni, sono presenti racconti di: Elisabetta Amoroso, Alberto Arecchi, Elisabetta Bisson, Fiorella Carcereri, Martino Ciano, Lorenzo Crescentini, Lisa Deiuri, Monica Dini, Daisy Franchetto, Serena Gobbo, Andrea Blu, Sandro Orlandi, Alessandro Pedretta e Stefano Rizzi. Dalla prefazione di Lorenzo Spurio si legge: «Il titolo scelto per questo progetto e per l’antologia stessa, Obsession, fa riferimento diretto al mondo delle ossessioni dove possono essere inglobate appunto le perversioni, le manie, le fobie, atteggiamenti inconsci e incontrollabili che possono essere trattati in certi casi dalla medicina mentre in altri, da cronici, risultano inguaribili. Ciò che li accomuna è la loro “ossessività” e “esclusività”: atteggiamenti apparentemente assurdi e inimmaginabili che, invece, si configurano come gravi disturbi mentali. L’ossessione porta con sé e si alimenta di ansia, paura, eccitazione, euforia, paranoia, bipolarità, angoscia, violenza minando la lucidità del soggetto, rovinandone l’integrità e condannandolo ad essere un “caso umano” ancor prima di diventare un “caso psichiatrico”». Il libro sarà acquistabile a partire dal 7 giugno prossimo sul negozio online della Casa Editrice Info: [email protected] Tra strade da percorrere, Le rime del cuore attraverso i passi dell’anima di Dulcinea (Annamaria Pecoraro) Lettere Animate Editore, 2012 ISBN: 9788897801467 Pagine: 178 Costo: 12€ Recensione di Lorenzo Spurio La prima cosa che va detta è che la poesia di Dulcinea, pseudonimo di Annamaria Pecoraro, è pervasa da immagini edeniche e suadenti dalle quali si esaltano valori importanti (si noti, ad esempio i continui e mai banali riferimenti alla religione cristiana) e ancor più ai sentimenti puri: amore, amicizia, ma non solo. La poetessa è un’anima sensibile che non può far a meno di tracciare sulla carta quello che vive, quello che spera o, addirittura, quello che teme. Non si censura mai, non ci sono limiti a questa poetica che, infatti, non conosce ostacoli né zone d’ombra. La poetessa con un linguaggio pacato e dolce permette al lettore di imboccare un percorso in territori quasi mitici per il loro essere talmente pacificanti e godibili, in un mondo come il nostro dove, invece, domina la frenesia e l’invidia o quello che la poetessa definisce “un mondo/ dove l’ipocrisia avvolge”, in “Diversi e complementari”, p. 46). Di contro a rimandi al cattolicesimo come “Sguardo nella croce” risultata finalista nel 2010 alla II Edizione del Premio Vivarium ad Honorem di Giovanni Paolo II o alla citazione iniziale di Madre Teresa, in altre poesie si respira, invece, un senso d’apertura e sospensione, quasi d’incertezza e d’ineludibilità, convogliate e personificate nella figura del destino: un destino visto come futuro incerto, come ipotesi o dubbio, mai come tragico, inesorabile e beffardo. Ed è anche in questo che mi sento di dire con una certa sicurezza che la silloge non conosce tristezza e dolore, nel senso esteso del termine; ci sono la malinconia, l’oblio, le false speranze, il ricordo amaro, la nostalgia, le lacrime, ma tutto è volto poi sempre alla “ri-scoperta” del sé, alla rivalutazione di sé e del rapporto con il mondo: ecco il significato delle “lacrime raccolte/ trasformate in diamanti” (in “Anima mia”, p. 57). Ogni sofferenza, ogni momento traumatico, anche se non verrà mai cancellato, verrà però mitigato e addolcito, tanto che il ricordo non sarà mai talmente doloroso da tentare il rifiuto. E questo è sinonimo di amore, di amore verso il tempo (“Non chiedere il perché/ ogni singolo granello scorre,/ con il suo tempo, nella clessidra della vita”, in “Milonga dell’Angel”, p. 66), che solitamente viene visto, invece, come nemico numero uno, ed amore verso se stessa. Perché, com’è noto, per amare gli altri bisogna prima amare se stessi. Non si tratta di una frivola banalità, ma di una realtà concreta. L’amore è presente in ogni lirica, o meglio bisognerebbe dire in ogni strofa, se non addirittura in ogni verso, ma è un amore eterogeneo e che non si riferisce solamente all’amato e quindi a un amore di coppia, a un amore che fa riferimento a un rapporto totalizzante tra gli amanti vissuto però come ringraziamento a Dio, ma molte liriche trattano dell’amore verso l’altro, qualsiasi sia l’altro, con un’evidente animo filantropico e solidaristico (“Non ti ho cercato/ e sei arrivato”, in “Fratello”, p. 44) che è proprio della stessa scrittrice. Chi ha avuto modo di conoscerla sarà infatti concorde con me in questo pensiero. L’amore di Dulcinea è l’amore verso l’amore, ossia verso tutto quello che nel mondo è causa e prodotto dell’autenticità e della bontà del genere umano. Ed è per questo che c’è sempre un richiamo all’unità, alla condivisione, all’apertura, al confronto, al saper “condividere” esperienze comuni, anche quando per carattere e sensibilità si è diversi: Strade diverse, possono insieme camminare, anche quando il dubbio sconvolge? Anche quando i tempi, spingono avversi? (in “Diversi e complementari”, p. 46) Si potrebbe pensare, allora, che la silloge condivida una impostazione utopistica, che fa cioè delle “buone cose” una esaltazione ridondante che, ahimé, non corrisponde alla realtà contemporanea nella quale siamo chiamati a vivere. Ma sostenere qualcosa del genere significherebbe sbagliarsi di grosso e soprattutto non comprendere il vero animo della poetessa: Dulcinea, infatti, ricerca la bontà proprio nella semplicità, nei piccoli gesti che, apparentemente effimeri, ricoprono invece valore. Ed è qui la ricchezza, non tanto contenutistica, ma sensoriale che la poetessa è in grado di trasmettere, come nella bellissima “Rose rosse” dove sì il fiore è connotato per la sua bellezza, per i petali ed i boccioli, ma è allo stesso tempo il “luogo” dove nascono spine. Immagine semplice, ma che fa riflettere. E in questo percorso di “ri-scoperta” che la poetessa ci invita a fare sono di grande importanza le foto che, pur essendo in bianco e nero, arricchiscono l’intera silloge. Degna di nota anche le composizione scritta a quattro mani con la poetessa Antonella Ronzulli, i commenti critici di validi scrittori tra cui Luciano Somma e Michela Zanarella, solo per citarne alcuni, e le varie liriche tradotte anche in altre lingue, segno evidente che la poesia di Dulcinea sia ampiamente apprezzata, non solo nel Belpaese, ma che deve essere tradotta, tramandata e ricreata abbattendo ostacoli o frontiere di ciascun tipo. Una poesia talmente potente rende merito davvero a questo genere che in molti vogliono “morto” o “abusato”. Annamaria non gioca con le parole, le dispone una dietro all’altra come lente pennellate di un pittore. Il risultato è notevole: ne fuoriescono immagini profumate e indelebili. Ho letto, ogni tuo frammento di vita, ho toccato, le tue stelle con il dito. Ho visto i tuoi desideri, poiché erano anche i miei. (in “Anima mia”, p. 57) LORENZO SPURIO (scrittore, critico-recensionista) Jesi, 23-03-2013 ANNAMARIA PECORARO, in arte Dulcinea, è nata nel 1981. Poetessa e collaboratrice per riviste cartacee e online e per diverse radio italiane ed estere, collabora anche con “Domus Aurea Magazine” di Laura Stradaroli, la rivista “Euterpe” diretta da Lorenzo Spurio e la rivista “Lu Papanzicu” di Filippo Cassaro. Giurata in concorsi di poesia, ha ricevuto numerose menzioni nazionali e internazionali. E’ presente in varie antologie poetiche ed è co-autrice di testi e di canzoni protetti in Siae con il cantautore siciliano Paolo Filippi.
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