UN AQUILONE FERMO NEL VENTO Indossa il fratello, porta il suo fardello, il suo pantalone strappato, le ali che gli hanno tarpato; scendi tanti scalini quanto in basso egli sia e fagli un po’ di compagnia. Non pronunciare parole, ma solo un sorriso dal cuore. Non sei obbligato e lui nulla ha preteso, ma nel vento era sospeso un aquilone che non ha più volato e tu, tu non puoi fingere che sia normale che il suo vivere non sia al tuo uguale. Guarda il suo filo e il suo tormento, si è forse incagliato nello sgomento; lascia che torni a volare più in alto, anche solo un momento, lui forse di più non desidera altro e tu avrai già reso il mondo più bello. © Rita Veloce
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I COLORI DELL’ORO
Non è rossore di timidezza, ma il colorito che ora si apprezza. Questa stagione di tenue calore, nei toni dell’oro ha il suo valore. Non è da meno ad altra stagione il musicare che or si propone; è scricchiolio di fogliame bagnato, è vento che fischia sul pergolato. È scoppiettar di castagne arrostite, è acquazzoni e gocciolanti schiarite. Su quel tappeto di tal miti umori l’autunno ascolta i suoi nuovi cantori. © Rita Veloce IL CALORE DELLE STELLE Le mie notti hanno visto tante stelle; talune erano flebili, lontane, altre luminose e sfavillanti. Talvolta sfrecciava nel buio una cometa che attraversando il cielo mi donava il sogno d’un istante, un tempo fugace ma luminoso, che in un palpito reclamava il suo desiderio cosmico. Altre volte furono meteoriti, massi infuocati senza luce che tagliavano il cielo fendendolo come lame affilate. Puntarono dritto verso il cuore lasciando cicatrici profonde come solchi, crateri sterili, voragini senza nome. Le polveri s’innalzarono ad oscurar il cielo e per anni invocarono il glaciale. Ed io gelavo e senza lacrime piangevo. Eppure sono ancora qui, cinta da uno sguardo di calde stelle a credere ancora nella notte; ancora qui, a guardare sempre il cielo e più non tremo. No, non tremo. © Rita Veloce RICORDA
Se tu fossi stato un bambino avresti ricordato un filo d’aquilone; lo rammento in tutto il suo splendore, erto nel vento a riflettere il sole. Se tu fossi mai stato quel fanciullo avresti ricordato d’avere sognato, a cavalcioni su d’un tronco incavato, d’esser un cavaliere, un mago o un pirata; sui rami d’un albero anch’io l’ho sognata quella stella che governava il veliero e la prua fendeva un mare mai nero. Ma tu lo sei stato in un tempo passato, almeno una volta, quando l’hai immaginato. riprendi l’arcobaleno nella pozza di fango, lì dove finirono le tue biglie di vetro, soffiaci sopra canzoni con uguali parole, liberale nel sole come bolle di sapone; allora, e solo allora, ricorderai del tuo cuore. © Rita Veloce La nebbia divorava ogni colore e in quel fumo d’acqua si rattristò il mio cuore. Ma i fiori dei pruni selvatici, seppur anch’essi bianchi, avean, di quel denso,più biancori e da quella nube fuori loco, forse con i morsi degli spini, spiccarono lacerandone il pannicolo. Pareva di vedere quel bambino che lascia l’amniotica membrana irrompendo nella vita con un grido. In quella visione estemporanea l’animo catturò l’eco d’un oracolo che promise frutti nuovi, blu come il cielo che sognavo, e il mio sguardo allor gioì. © Rita Veloce CANTERÒ PER TE (OLTRE IL CIELO) Canterò una melodia soffice come quella nube che soffiata forte dal vento vola alta su nel cielo. Canterò una canzone, senza zavorra di parole, che metta ali tra le note e voli ancor più in alto. Canterà la mia anima la sua tacita poesia e la librerà leggiadra più in alto di quella nube, più in alto di quelle ali, oltre il cielo più alto, perché possa giungere fino alle porte del Paradiso e chiedere a quell’angelo che ti donò la veste bianca di lasciartela ascoltare, poiché parla del mio amore e saprai che ancor ti sento cantare forte nel mio cuore. © Rita Veloce Dedicata a tutti coloro che hanno un pezzo del loro cuore “oltre il cielo” Ho voglia di bauli vecchi, di grezzi sacchetti di lino pregni ancora di fiori secchi: inebri di lavanda odorosa e scaglie di petali rosa. Ho voglia di scartabellare pagine di libri consunti, e lentamente respirare quei sogni ad esso sdruciti. Ho voglia di carezzare teneri pupazzi di pezza scuciti. Ho voglia di assaporare un tempo lontano milioni d’istanti. In un cofanetto poterci trovare, vecchie lettere scritte in timore venisse svelato un segreto d’amore. O trovare disegni d’inchiostro sbiaditi; scarabocchi, fanciulleschi graffiti. Una rosea conchiglia che ancora profuma di mare; una bottiglia, un messaggio da osare, mai affidata al viaggio d’un onda; una bianca colomba che non osò mai volare. Ho voglia di stringere tra le dita vecchie foto dai toni pastello, giovani volti dai tenui sorrisi sotto il pizzo di un bianco cappello. Foto legate d’un abbraccio aleatorio in fiocchi di seta del color dell’avorio. Ho voglia di ascoltare antiche emozioni, ricordi non miei, che non portan rancori, né nostalgie, oppure rimpianti ma sol commozione per quei vecchi tempi, come fa un’innocente fanciullo che raccoglie le foglie cadute in autunno, poiché in quell’acceso rossore ci trova ancora un vivido raggio di sole. © Rita Veloce Rita Veloce, poetessa e scrittice. Ha, inoltre, già pubblicato un libro di fiabe (LATTE DI LUNA), una silloge poetica (I COLORI DEL VENTO) eun libro di racconti (PROFUMO DI GINESTRE) NEVE SPORCA Delicata ti poggiasti sul mio cuore in freddi giorni senza inverni; eri candida come la neve e come la neve risplendevi. Bianca come la veste di un angelo ed un angelo parevi. Mi abbandonai tra le tue braccia senza il senno del poi e ti aprii il mio cuore, come tu il tuo focolare e fu virtù di tepore e le parole avevano valore. Eri come la neve, che col suo manto riscaldava. Io non so quale vento freddo erse poi stalagmiti tra di noi. Non fui io a chiamarlo, ma fu il muro dei più duri. Né so chi trasudò dall’alto del suo arrogante sapere aculei di ghiaccio, che il cuore ti portarono a trafiggermi; ma so che sporcò il tuo manto e che insudiciò il tuo bianco che più ora risplende. Illusa, tu, d’indossare ancora la veste candida: di falsa luce t’inganna e incanta. Eri forse un angelo, forse lo sei ancora, ma caduto nella neve sporca d’un inverno gelido senza parola. © Rita Veloce Rita Veloce, poetessa e scrittice. Ha, inoltre, già pubblicato un libro di fiabe (LATTE DI LUNA), una silloge poetica
(I COLORI DEL VENTO) eun libro di racconti (PROFUMO DI GINESTRE) QUIETE Ci sono momenti in cui ti cerco come cerca una stilla d’acqua la terra troppo arsa; arsa come l’aria chiassosa che ingurgito controvento. Ci sono giorni in cui saresti ombra, dove c’è troppo sole e nessuna fronda a mitigarlo; in quei giorni dove sei? Di te sono cupida e mai sfamata, poiché assecondi gli assorti miei pensieri. Ti cerco in quegli istanti, in quei millenni. Oh, sorgente che zampilli d’emozioni e scivoli tra gli anfratti dei sogni storditi dal rumore. Ti cerco quando gli sproloqui sprofondano nell’oblio di te; io rammento il tuo nome e ti invoco, come il naufrago anche un solo scoglio. “Mea culpa” se bramo allora che ogni cosa taccia! Seppur concilia il canto d’una foglia, lo sfavillio di stella o di farfalla, e la pioggia, lieve o tumultuosa, ritmo che comunque non accora, mi perdoni, si, l’umana voce che, troppo spesso, più simile a stridio senza virtuosismi e accordi, mi ribolle negli intestini come lava. Soffochi sul nascere l’inutile parola, elogio di se stessa. Eppur non tace! Ma al crepuscolo, almeno allora, si riconosca la mia ora, il mio lembo di neve soffice che di silenzio tutto ammanta, il mio flutto d’oceano che, ovattato, appena sussurra sui fondali gremiti e rigogliosi, o un vulcano mi esploderà dentro se alla quiete che allora ambisco verrà torto un sol capello. Ridicolo è quell’uomo che si nasconde dietro un “parlo, poiché tacerò in eterno” per continuare senza pudori a maledire il troppo caldo dei suoi soli e il freddo del suo immaginario inverno! © Rita Veloce Rita Veloce, poetessa e scrittice. Ha, inoltre, già pubblicato un libro di fiabe (LATTE DI LUNA), una silloge poetica
(I COLORI DEL VENTO) eun libro di racconti (PROFUMO DI GINESTRE) NERO
L’uomo guardava un gatto, un gatto nero come la notte. Il gatto guardava un corvo, un corvo nero come il concedo e già lo immaginava sulle unghia come spiedo. Il corvo guardava un seme, un seme color argento e già lo pregustava, sospirando sottovento. Il seme guardava l’uomo, ma lo guardava inutilmente; gridava muto nel silenzio: accoglimi tra i tuoi palmi, tra i tuoi calli, tra i tuoi demoni e i tuoi santi; chi per maledire, chi per pregare e tra i ricordi che vuoi dimenticare. Mettimi oltre i tuoi vissuti, tra le rughe dei tuoi tessuti, tra il sogno che hai smesso di bere e nei domani che non sai più avere; dissetami con le tue lacrime, con il tuo sudore, con i tuoi languori. Lascia che io germogli e che sia “l’ultima a morire”. Ma l’uomo guardava il gatto, che s’avventò sul corvo, che beccava il seme in un istante. E fu tutto nero: nero come quel gatto, nero come quel corvo e come il fato di quel seme; nero come il buio, il buio nero dell’eterno, e a quel buio l’uomo arrese le sue pupille nere; nere come quella notte, nere come la sua sorte. Nere … nere come la morte. Se solo avesse guardato oltre quell’unico colore… © Rita Veloce |
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