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Deliri Progressivi intervista il poeta Guido Tracanna

12/2/2015

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a cura di Alessandra Prospero

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In uno scenario quotidiano di overflow di immagini, di video e di link, Guido Tracanna ci dimostra di fatto che la parola in poesia ha ancora in sé la forza creatrice e archetipica del logos; non a caso la lista dei premi vinti dalle sue opere e delle segnalazioni di merito è infinita. Nasce a L’Aquila ma il copione della vita lo porta a essere in seguito “adottato” dalla città eterna, Roma: ciò aiuterà la sua indole contemplativa ad acquisire una forte componente guerriera e il tutto diverrà un amalgama spirituale denso ed eccezionale. Infatti Guido Tracanna unisce la grinta del boxeur alla pazienza quasi missionaria dell’insegnante (è al nono anno di insegnamento come docente di Religione incaricato dal Vicariato di Roma, n.d.a.) e vette di alto lirismo a un atteggiamento in realtà piuttosto umile nella vita quotidiana. Una dicotomia necessaria e salvifica, anche in termini logistici: egli infatti, riprendendo il discorso sulle sue origini, alterna all’uopo lunghe permanenze lavorative a Roma a benefici rientri in terra abruzzese. I suoi versi hanno una forza strutturale ed evocativa che non hanno pari e rispecchiano appunto tale dicotomia con registri che variano sorprendentemente senza soluzione di continuità: dall’aulica celebrazione delle sue origini all’afflato poeticamente erotico offertoci da un punto di vista squisitamente maschile finalmente che non si cela, affermando anzi la propria identità. Un notevole labor limae, quasi un’ingegneria poetica, supportata da una cultura classica e un bagaglio personale prezioso.


1) Guido, come e quando ti sei avvicinato per la prima volta al mondo della poesia?
Già verso i 13 anni sfogliavo il vocabolario alla ricerca di parole auliche sulle quali costruire il tema del giorno dopo a scuola, a prescindere dalla traccia: voti sempre alti. Poi la musicofilia travolgente, iniziata con l'ascolto dell'arlecchino elettronico Camerini, fino ai 19 anni mi spingeva a riscrivere i testi delle canzoni, soprattutto in lingua inglese, che trovavo troppo banali. A 20 anni ho deciso di mettere su carta...”Decadenti dimensioni” la primissima poesia.
 

2) Quali sono state le tue influenze artistiche?

La suora-insegnante di Lettere e Latino alle medie ci insegnava le declinazioni a ritmo di metrica e mi fece innamorare di Dante: il Pilastro indiscutibile! Poi, verso la maggiore età qualcosa di Pound, Baudelaire in lingua originale e il “padre”, a mio avviso, della musica alternativa italica...Giovanni Lindo Fer-ret-ti!, una parabola di vita più che un semplice cantante. Infine il fascino dell'avanguardia futurista (lessi il loro Manifesto), della quale adoravo lo sforzo di ricerca sonora ma trovavo deprimente la mortificazione del “concept” (come lo chiamano oggi!!). Per il resto una provvidenziale tabula rasa causata dalla scuola statale sul quale si è innestato il mio stile che gli addetti definiscono come originalissimo; l'unica insegnante stabile era una cariatide strutturalista e acida, cioè il cancro che già allora comprimeva la creatività: effetto tappo!!!

3) Cosa pensi dell’attuale realtà del settore poetico?
Penso che la poesia non ha mai avuto vita facile e che oggi non ha mercato né futuro soprattutto per l'inflazione senza limiti delle produzioni letterarie: una schiera di improbabili artisti si riversa nel mare “magno” (e dico magno!) di esponenziali premi di dubbio valore. Un Poeta autentico, credimi, ha ormai persino pudore di autodefinirsi tale: è un appellativo che nel linguaggio comune ha preso addirittura un senso ironico (a Roma si dice “ecco er poeta...”). Per il resto premi prestigiosi nelle mani di lobby politiche-culturali sconfitte dalla storia, giornalisti che si improvvisano artisti, insomma il nemico è l'overflow e la vittoria dell'uomo senza qualità!!

4) Cosa pensi del self-publishing?
Il nucleo centrale della mia fede cristiana mi dice che dal male nasce un bene più grande: dall'emarginazione dei Poeti può nascere una letteratura coraggiosa, senza costrizioni né padroni. L'autoproduzione è una scelta di indipendenza che ha portato una sub-cultura come l'hip-hop a dominare la scena artistica odierna. Il punto è: chi è che pubblica...vedi al punto 3. !! Detto ciò ben venga la svolta, il grande editore: per promuovere un’ autoproduzione ci vogliono quasi 3 anni… però c'è il fascino dell'epica, la gavetta che ti porti dentro come tuo patrimonio.

5) Quale progetto ti piacerebbe in modo particolare realizzare in futuro?
Quello che ho già iniziato: dei featuring letterari, poesie a 4, 6 mani o poesie ispirate a racconti brevi come nel caso della collaborazione avuta con l'esordiente Carlo Caldarelli. Poi c'è un nutrito blocco di inediti da limare (la prossima estate!), il sequel di “Aquila Mater mea” già scritto (da realizzare il video-poemovie con il regista Paolucci e la sua associazione Ricordo) e la (quasi) quotidiana attività di graffitaro-incursore dei social con versi (anche improvvisati al momento in “stile libero”) e idee, al solito, controcorrente!!!

6) Abbiamo parlato della tua dicotomia, come nutri la tua spiritualità?
Il regista Francesco Paolucci disse al Palazzetto dei Nobili a L’Aquila, presentandomi, che tengo insieme l'underground con la Tradizione; amo unire poli opposti (vedi dopo al 10.), l'etimologia di “cattolico” è questa, basta rileggere i Vangeli vivi, nudi e crudi!! Così nutro la mia spiritualità anche attraverso la vita dei Sacramenti per non finire, da peccatore, sulla barchetta di Caronte (sembrerà strano ma ne sento una esigenza naturale, spontanea quanto misteriosa) e, se posso, con la preghiera semplice o quella del “cuore” che rimanda alla tradizione cristiana ortodossa che ammiro: Florenskij, Clement sono spiritualmente affini come i “pazzerelli di Dio” (Jurodivjia) simili a Francesco, Iacopone e Filippo Neri aiutano a comprendere come la dicotomia è in fondo apparente se si combatte il (giustificato spesso) pregiudizio verso una religione retrograda e ritualistica.

7) Come nasce una tua poesia?
Quasi sempre verso mezzanotte, con un flusso vulcanico che ruba un bel po' di sonno, comunque anche nelle passeggiate o corse solitarie, emblema di un modus vivendi invisibile alla quotidianità.
La tua esperienza quotidiana ti porta ad avere uno scambio continuo con i ragazzi: cosa ti lasciano e viceversa cosa tu pensi di lasciare? Mi trasmettono la loro lucidità (ammettono sempre votacci e note meritate), mi stimolano sempre con nuovi trend culturali, ti fanno capire in anticipo dove va il mondo e ti rivitalizzano con certe loro ingenuità, offrono affetto (quasi) incondizionato. Cosa lascio io bisogna chiederlo a loro, ma dalle parti di Viale Marconi, dove lavoro da quattro anni pare girino strane voci...positive!!!

8) Puoi spiegarci il significato del titolo della tua ultima opera, la silloge “L’avvento della neve” (Arkhé edizioni, 2014)?
I
o la volevo intitolare “Epimeleia”, poi l'intuito femminile di mia sorella mi fece riflettere: già la poesia non si legge, poi se la chiami così!!! Quando tu stai nella peggior banlieu della terra e nevica, per miracolo diventa dolce e poetico anche quel paesaggio!! Diciamo che l'avvento di una nuova neve, di una vita “poetica” è la mia speranza di vita e la banlieu è questa lurida degenerazione antropologica in cui si vive profanati nella nostra bellezza da Simpson, call-center, televendite (senza fare nomi, dribbliamo la querela) di vario genere


9) Ultima domanda: visto che siamo su Deliri Progressivi, quali sono le tue preferenze in ambito musicale? Giovanili estati aquilane mi hanno permesso di approfondire persino la musica classica con la nutrita collezione di vinili di mio zio Marcello ma il richiamo della foresta rimane sempre (da 30 anni almeno) nei suoni elettronici e campionati d'ogni risma (ricordi il Rondò Veneziano??): alla fine la scoperta, grazie ai miei studenti, dell'underground rap romano (nulla a che vedere con quello commerciale da MTV!!) con il talentuosissimo Deal Pacino da Ostia ed il “monumento” Noyz (in gergo si dice: “alzo il berretto!”), creatore, a mio avviso di un genere artistico davvero unico per scelte sonore e linguistiche, una sorta di horror-grottesco in versi su strumentali davvero poco abituali (e non poco cinematografiche) per descrivere il disagio di un'era e la vita di strada: l'unica “star” che a più riprese s'è premurata di ammonire i suoi fan quindicenni affinché non prendano alla lettera la sua arte e il suo alter-ego che, in effetti, può turbare non poco e che non ascolterei con le mie amiche per rispetto...sottili affinità elettive tra mondi lontanissimi in nome della veracità dell'arte e della coniugazione degli opposti!!! 


Alessandra Prospero
 

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