
Evanescenza.
Sento le mie chimere svanire,
come nebbia che offusca la mente;
memore d’esse forse una goccia,
o mille, dissolte nell’aria rappresa.
L’anima cerca ancora di ambire,
come bagliore che riluce persuaso,
su una lacrima di fresca rugiada;
ma l’aria è densa
e amniotica imprigiona l’emozione
che invoca invano il primo vagito.
Dissolvenza.
Dalle braccia ha potato le forze;
le mie unghia sono rami sfaldati,
non squarcio quest’ombra appannata.
Inseguo invano un desio mai infittito
tra i veli d’un cielo ormai chiuso;
l’etere non è più così puro
e di cataratta ammanta lo sguardo
che vorrebbe ancora vergini rotte,
per volare di nuovo, di più,
più in alto.
Plumbea trasparenza.
Non vedo oltre questo vetro opaco;
oltre questo pesante respiro
che affanna incolore,
oltre questo statico tempo
che odora di muschio e dolore.
Lattiginosa segreta.
Devo uscire
da questo grembo di bruma;
fuggire da questa parvenza sbiadita,
da questo torpore
che non vuole finire,
da questa lastra
da cui non filtra la vita.
© Rita Veloce