Forse qualcuno ricorda ancora le emozioni provate quando, da bambino, aiutava la mamma, o il papà, a fare il presepe.
La creazione del paesaggio era un rituale che coinvolgeva tutta la famiglia. Le montagne di carta, gli alberelli fatti con rametti posizionati qua e là, il muschio raccolto il giorno prima nelle campagne o nei boschi. La brecciolina bianca serviva per fare i sentieri, divenendo anche l’argine del laghetto creato con un piccolo specchio e che ospitava un’allegra famigliola di paperelle o sponda del fiumiciattolo ricavato dalla carta stagnola. I ponticelli, le casette arrampicate sulle “rocce”, magari con l’aggiunta di pietre porose e legni arcuati. Tutto poteva trovare un suo posto, rappresentare qualcosa; l’ingegno sbizzarriva assieme alla fantasia. I vari pastorelli, poi, popolavano il presepe; ogni anno, magari, se ne aggiungeva uno nuovo, affaccendato nel suo mestiere: il pescatore con la cesta di pesci, la contadina con la cesta d’uova, accanto alle gallinelle “recintate nell’aia”, il pastore con il suo gregge di pecorelle, il recinto con i maialini rosa o quello con i cavallini al suo interno. Non mancava nessuno e i più fortunati, potevano vantare una sorgente d’acqua reale e qualche pastorello a movimento meccanico. E poi c’era l’amata grotta con gli angeli posizionati al suo ingresso ,“sorvolata” dall’immancabile cometa. All’interno, la Santa Famigliola era quasi al completo. Eh si, “quasi”, poiché il bambinello lo si portava, nella mangiatoia tra il bue e l’asinello, giusto la notte di Natale. Non credo che le cose siano cambiate da quando ero io, o i miei fratelli, a “passare” i vari componenti per la realizzazione del presepe, all’odierno “rituale”, seppur trascorsi diversi anni. Ricordo l’ammirazione, lo sguardo estasiato, la soddisfazione d’aver creato qualcosa di meraviglioso, di magico, a lavoro ultimato. Altresì ricordo d’aver fantasticato, immaginato e desiderato: “Che bello sarebbe poterci andare dentro…” Fantasie d’un fanciullo, ma, chissà, magari anche inconfessabile desiderio di “bambini più cresciutelli”. Di certo, passeggiare tra le capanne dei pastori, dal “mastro ferraio”al mugnaio, fino a giungere dinanzi la mangiatoia e respirare a pieni polmoni, non solo davvero l’odore del fieno, ma della magia del Natale, deve essere un emozione senza eguali. Desiderio esaudito al presepe vivente di Pezze di Greco (Fasano di Puglia- Brindisi), dove, ben quattrocento persone, si sono “cimentate”in un interpretazione d’antica vita quotidiana, tra scenari e attrezzature originali; insediamento rupestre in un sito dalla caratteristica conformazione geologica di numerose grotte tra gli ulivi secolari. Qui si è potuto “entrare” in quel presepe protagonista di desideri fanciulli; ascoltare i “rumori”, le voci, i canti di quello scenario, deliziando i sensi tra i profumi di pane appena sfornato e biscotti caldi. Fare un presepe è qualcosa di magico, ma sentirsene parte è davvero un esperienza da provare, in tutte e per tutte le età. Rita Veloce http://www.presepeviventepezzedigreco.it/it/
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Fai clic qui per effettuare modifiche. Visitare “la via dei presepi” (via San Gregorio Armeno) a Napoli, in questo periodo prenatalizio è, oserei dire, doveroso;
La maestria di questi “artisti - artigiani” è assolutamente da contemplare e mai manca di meravigliare ed estasiare. Prendetevi il tempo necessario, se deciderete di passare da quelle parti, perché ogni opera in mostra è degna di attenta osservazione, al pari d’ogni altra scultura o opera d’arte; fermatevi ad “assaporare” ogni più piccolo particolare, atto a richiamare non tanto un paesaggio palestinese, tanto a “diffondere” usi e costumi partenopei (i meloncini invernali appesi fuori le porte delle case, assieme a peperoncini, caciocavalli, i tipici “friariell” e alla cesta del pane o delle uova; spesso veri e propri capolavori in miniatura). Ma nulla di più sulla “bocca di tutti” è questa tipica via napoletana, magari sentita e risentita, vista e rivista nei vari servizi televisivi dedicati al “clima natalizio”, zona per zona, da nord a sud. Una meravigliosa scoperta è invece stata, a pochi metri dalla più famosa via, nel Museo Cappella Sansevero, l’incredibile scultura del Cristo Velato. L’opera è stata realizzata da uno dei più bravi scultori del settecento, Giuseppe Sanmartino, nel 1753, per conto del “Principe di Sansevero” Raimondo Di Sangro. Quest’ultimo per la sua “fama”di alchimista ed esoterista, e grazie alla genialità del Sanmartino, creò, suo malgrado, un velo di mistero attorno a questa magnifica scultura. Il popolo “ignorante” di quel tempo, nei confronti delle scoperte strabilianti e degli studi innovativi del Di Sangro, soprattutto perché coperti da segreti procedurali, reagiva idealizzandolo al pari d’uno stregone o, come Faust, di colui che vendette l’anima al diavolo, accusandolo, tra le altre cose, di rapire poveri ed emarginati ed usarli come cavie da laboratorio per i suoi esperimenti (accuse delle quali, comunque, non fu mai riscontrata veridicità). Ed ecco che una scultura, ricavata da un unico blocco di marmo, diviene un “diseredato della Terra, rapito e imbottito di chissà quali sostanze, per far sì che pietrificasse in statua”. Come dar “torto” a quel popolo ingenuo, nell’ignoranza e la scarsa “apertura mentale” di quei tempi, del resto? Chi ha avuto l’immenso piacere di contemplare l’opera d’arte, ha potuto ammirare la cura, la precisione e la grande maestria nel mostrare un Cristo, al di sotto di quel “velo”, dalle vene che sembrano essere state immortalate nel loro ultimo pulsare, così come le piaghe nel loro dissanguare, mostrandone tutta la cruda profondità e quell’espressione sofferente d’un volto che ha appena esalato il suo ultimo inesorabile e straziato respiro; l’effetto “perlato” del biancore di quel marmo, poi, dà l’illusione ottica d’un corpo madido, a tutti gli effetti e in tutti i sensi, adagiato nel suo sudario di morte. Rita Veloce |
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