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MODS e ROCKERS di Eugenio Nascimbeni

3/11/2014

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Disagio, ribellione, ricerca di una propria identità furono dunque i tratti identificativi dei giovani di quegli anni, connotazioni che si ritrovarono poi nei successivi movimenti studenteschi e di opinione che fiorirono poco tempo dopo.

di Eugenio Nascimbeni
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I fenomeni giovanili di massa sono stati spesso osteggiati dalla cultura ufficiale, quella di stampo più tradizionale e conservatore.

Portatrici di germi di ribellione nei confronti di una società appiattita solo su valori borghesi, le nuove avanguardie dei giovani negli anni sessanta cercavano di distinguersi dal comune pensiero, sforzandosi di trovare una propria identità che li caratterizzasse attraverso la musica, gli abiti, gli oggetti simbolo.

Spesso considerate a torto delle subculture, anche a causa del loro rifiuto a farsi catalogare a livello ideologico o politico, questi movimenti hanno viceversa contrassegnato un’epoca con i loro stili di vita e con la loro vibrante protesta verso la società, una protesta che aveva lo scopo di rivendicare il diritto di essere giovani: questo avvenne soprattutto in Inghilterra, paese pregno di quell’humus culturale dentro cui sono sempre germogliate tendenze e mode che hanno fatto proseliti altrove.

Negli anni sessanta si affermarono due movimenti giovanili in forte contrapposizione tra di loro.

I rockers, che provenivano in massima parte dai quartieri più poveri di Londra, giravano nei loro giubbotti di pelle, impreziositi da spille o stemmi di club amici, su grosse motociclette.

Sfoggiavano basette lunghe, capelli imbrillantinati, ed adoravano il rock’n roll di idoli quali Cochran, Vincent, Presely.

I loro ritrovi storici erano l’Ace Cafè e il Club 59 a Londra, e la zona di Brighton, cittadina affacciata sulla Manica, meta dei loro weekend.

I rockers, che per molti versi hanno ripreso alcune caratteristiche dei primi teddy boy, banda giovanile degli anni cinquanta profondamente legata alla musica rock’n roll americana, vivevano nel culto della motocicletta cui associavano i valori di forza, coraggio, spavalderia, in una concreta rappresentazione del mito del ribelle reso famoso da Marlon Brando nel celebre film “Il selvaggio”.



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I mods si differenziavano dai loro rivali soprattutto per il mezzo di locomozione (scooter italiani su cui applicavano numerosi e vistosi fari), per la musica (il jazz e il rock britannico di Who, Yardbirds e Rolling Stones), per l’abbigliamento (abiti sempre ben curati come parka, giacche di velluto, polo Fred Perry e mocassini), e per l’acconciatura dei capelli, non troppo lunghi e sempre ben pettinati.

Le altre importanti differenze che li distinguevano dai rockers erano la loro provenienza, non certo riferibile al sottoproletariato dei loro antagonisti, e l’esibizione orgogliosa della bandiera nazionale (la Union Jack) e dei simboli o stemmi appartenenti alla Royal Air Force.

Dall’antagonismo ad un vero e proprio conflitto il passo fu breve.

Le cronache raccontano che il 28/3/64 a Clayton ebbe luogo un’autentica battaglia tra le due fazioni, un feroce e violento combattimento avvenuto con mazze e coltelli.

Lo scontro durò ben due giorni e terminò con un numero impressionante di feriti, oltre a centinaia di arresti: altre risse, scoppiate a Brighton e ad Hastings, contribuirono a contrassegnare queste bande, agli occhi dell’opinione pubblica, come pericolose.

Questa cattiva reputazione affibbiata a loro fece in modo che i sentimenti di rivalsa e di contrapposizione nei confronti della società si dilatassero, finendo poi per trovare nelle strofe di “My generation” degli Who la quintessenza del loro pensiero.

“La gente cerca di metterci sotto
solo perché ce la spassiamo in giro
le cose che fanno sono così terribilmente fredde
spero di morire prima di diventare vecchio”

(My generation – The Who)


 

Disagio, ribellione, ricerca di una propria identità furono dunque i tratti identificativi dei giovani di quegli anni, connotazioni che si ritrovarono poi nei successivi movimenti studenteschi e di opinione che fiorirono poco tempo dopo.


Eugenio Nacimbeni



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