di Rita Veloce "Ciò che troppo facilmente temi e giudichi, potrebbe essere migliore del tuo stesso pensiero." Erik era un esile fanciullo che viveva in un antico villaggio, Lemuria, nella verde vallata ai piedi della grande montagna. Il posto era avvolto da veli di arcaiche leggende del nord e offriva carne a storie di magie e sortilegi, come le nubi che a volte celavano la cima del monte o la nebbia che nascondeva il letto del fiume. Quell’altura sembrava il posto più stregato dell’universo. Si narrava fosse popolato da elfi e mitologiche creature e nessun fanciullo si sarebbe mai avventurato da solo. La gente del luogo la chiamava “la montagna d’argento”. Erik, una volta, chiese a suo nonno il perché dell’argenteo aggettivo dato che, in apparenza, non v’erano ragioni. Il vecchio rispose che il motivo erano gli innumerevoli lupi dal manto grigio che abitavano la foresta del rilievo. Continuò raccontando che quegli animali erano demoni malvagi scacciati dal mondo degli uomini in epoche remote. La vita al villaggio scorreva tranquilla. Le greggi venivano portate al pascolo alle prime luci dell’alba e rinchiuse nei recinti al calar della sera. I contadini si recavano nei campi al mattino e tornavano sfiniti oltre il tramonto. Lungo il fiume si praticava la pesca e partivano imbarcazioni verso mercati lontani per lo scambio e acquisto di merci. Le donne animavano il mercato della piazza durante la giornata; mentre, vicino le case, i bambini giocavano con spade di legno emulando gloriose battaglie ed inventandone nuove. Era un periodo di pace e da molto tempo gli uomini non imbracciavano armi. Le uniche eccezioni erano l’utilizzo per la caccia dai pochi esperti dell’impervia altura e in alcuni periodi l’attenzione alle mura di cinta perché i lupi scendevano pericolosamente vicini nel tentativo di trovar animali incautamente custoditi. Erik era insofferente per quella tranquillità perché gli scorreva l’impeto dell’avventura nelle vene. Le leggende gli trasmettevano curiosità e non lo terrorizzavano affatto. Anzi, la grande montagna e le sue immaginarie creature lo affascinavano e attraevano ogni giorno di più. Una delle tanti notti piene di sogni e fantasticherie si convinse che, se i cacciatori potevano cavalcar il monte, avrebbe potuto farlo anche lui. Prima che il sole fece capolino nella vallata, si preparò la sacca, si vestì e, in silenzio per non svegliar nessuno, superò l’uscio di casa dirigendosi fuori dal villaggio. Era indeciso sulla direzione da seguire. Un fitto fogliame ricopriva ogni angolo dei sentieri tracciati e non gli restò che affidare la sua scelta al caso. Intraprese la strada in salita che fiancheggia le cascate e seguì il rio che alimenta il fiume. Mentre perdeva la vista del villaggio, il clima era sempre più freddo. La luce del giorno cominciava ad affievolirsi ed il tramonto era imminente. Così Erik, trovò riparo in una grotta. Poi, raccolse la legna utile per riscaldarlo durante la fredda notte e tenere lontano i lupi. Quando venne sera, il fiato gli usciva condensato dalle labbra sempre più asciutte. Decise allora di accendere il fuoco. Si sedette dinanzi quel benedetto calore e tirò fuori dalla sacca un pezzo di pane e un po’ di formaggio che furtivamente aveva sottratto dalla dispensa in cucina. Le allegre fiamme ipnotizzarono i suoi pensieri e portarono la fantasia a voli sfrenati di sogni ad occhi aperti. Proprio mentre si convinceva che il bosco non fosse realmente un pericolo, ebbe la sensazione di udire inquietanti versi e sentiva un brivido percuoterlo per gli strani movimenti dei cespugli. Girava lo sguardo in ogni direzione cercando di scorgere la fonte di tutto quel brusio, ma non notava alcuna sagoma che gli facesse intuire qualcosa. La foresta inghiottiva, persino, le ombre. Fu dura fatica tenere occhi aperti e vivo il fuoco. Infatti, a prima mattina si ritrovò addormentato accanto alle braci ancora fumanti. A quel punto, riprese convinto il cammino in salita. Ad un tratto, comparve la neve. Proseguendo, il paesaggio si imbiancava al punto che si domandava dove si stesse dirigendo, non avendo una meta precisa. L’unica sua certezza era sfatare o confermare quei miti. Questo proposito lo rafforzava. Il passo si fece pesante e il fiato sembrava si potesse tagliar con una lama. La sera colse il giovane di sorpresa e questa volta era sprovvisto di rifugio e di legna da ardere. Le voci della foresta si susseguivano per smorzare l’irreale quiete e sentì di essere seguito; non riusciva neanche a girarsi attorno per tener d’occhio la situazione. Il gelo lo stava paralizzando e i suoi movimenti erano lenti e faticosi fino a quando rimase senza forze. Mosse gli ultimi affaticati passi e crollò, rantolando, nella frolla neve. In quell’istante, tutta la sua breve vita gli scorse davanti. La sua casa gli apparve nei pensieri. Il caminetto acceso e la pentola che bolliva una calda e saporosa pietanza, il cui profumo si spandeva per le stanze; i fratellini che si preparavano per la notte e inginocchiati ai lettini recitavano le loro preghiere; la madre amorevole che li copriva con le calde coperte di lana e sulle rosee gote posava il suo bacio della buonanotte, dopo aver raccontato una delle famose leggende che lo avevano spinto in quel gelo. Ipotizzava che in quel calore non ci fosse più posto per lui e che non si fossero accorti della sua assenza. La nostalgia lo assaliva e tristemente meditava che loro non provavano la stessa cosa. Nessuna disperazione perché nessuno lo cercava. Quella era l’ultima dimora che avrebbe vissuto e si concludeva la sua prima e ultima avventura. Non aveva incrociato alcuna strana creatura, elfo dispettoso o demone orribile; aveva inseguito i suoi sogni e di questo non era pentito. L’insistente ululato dei lupi che si avvicinavano muovendosi tra i cespugli, i riflessi argentei del loro crine e quelle pupille rosse d’accesa ferocia che spiccavano nel buio gli raggelavano i pensieri. Lo avrebbero incontrato disteso a faccia in giù nella neve, privo di forze e inerme. Per loro, sarebbe stato semplice banchettare con le sue carni, così come dilaniano i capretti. Gli mancarono i sensi alla vista del branco. Percepiva il caldo fiato sul viso e l’odore nauseabondo di belva. Poi, solo buio profondo e il nulla. Nessun dolore, freddo o voce. Solo il battito ormai lento del suo tenero cuore che rimbombava nel silenzio della sua mente. Credeva fosse arrivata la fine e d’essere ormai giunto in paradiso quando svegliandosi, tra calde coltri, riconobbe il viso di sua madre che, affettuosamente, gli carezzava la fronte. La donna gli raccontò, con voce soave e candida, di come i cacciatori l’avessero trovato proprio seguendo i lamenti dei lupi che si erano accucciati attorno al suo corpo preservandolo dal freddo e dall’assideramento. Alla vista dei cacciatori, il branco fuggì via. L’ultimo a scappare fu il capobranco che si voltò per assicurarsi che il giovane fosse stato salvato. Uno dei cacciatori puntò l’arma verso il coraggioso lupo, ma gli altri lo fermarono affermando: Un’animale conosce la pietà, perché noi non dovremmo? Tornati al villaggio con il fuggitivo recuperato, si sentivano più ricchi per la lezione di vita imparata. La stessa che il giovane avrebbe portato, preziosamente, con sé per tutta la sua esistenza. Erik sarebbe diventato un uomo saggio, un uomo che non si sarebbe mai arreso continuando a seguire i propri sogni anche se in modo meno sprovveduto. Ai suoi figli, ed ai figli dei figli, avrebbe insegnato a guardar sempre con gli occhi del cuore perché ciò che troppo facilmente temi e giudichi, potrebbe essere migliore del tuo stesso pensiero. - Rita Veloce - Rita Veloce, nata a Rodi Garganico. Vincitrice del primo premio nel Concorso Internazionale di Poesia “Giuseppe Longhi” 2011 con la poesia EMIGRANTI CLANDESTINI – COMUNE DIVERSITA’, finalista nell’edizione 2012 del Concorso Nazionale di Poesia “Falcone e Borsellino: Vent’anni dopo” con la poesia L’EREDITA’, Silloge Finalista su 381 testi partecipanti nel Premio Letterario Ibiskos 2012, Menzione d’onore nell’edizione 2012 del Premio Letterario Internazionale “Trofeo Penna d’Autore” con la poesia LA LUNA E LA COMETA e finalista nell’edizione 2013 del Concorso Nazionale d’Arte e Cultura “Mario Dell’Arco”. Pubblicata sull’antologia “Giuseppe Longhi“ VIII edizione, sull’antologia “I Grandi Classici della Poesia Italiana“ 2012, sull’antologia “Per non dimenticare Falcone e Borsellino: Vent’anni dopo” 2012, inserita nell’antologia “Emozioni in bianco e nero” 2012 con un componimento poetico ed una fiaba e selezionata per l’antologia del Premio Internazionale di Poesia “Liber@rte” 2013. Ha, inoltre, già pubblicato un libro di fiabe (LATTE DI LUNA) e una silloge poetica (I COLORI DEL VENTO). Potete iscrivervi al suo gruppo facebook “FIORI DEL DESERTO” all’indirizzo: https://www.facebook.com/groups/219280771457501/
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un racconto - essenza del vero significato dell'Amicizia di Simone Guaragno Un giorno, non molti anni fa, avevo invitato alcuni amici per una cena abbondante. La tavola rettangolare era imbandita di ogni tipo di leccornia e l’atmosfera era intrisa di emozioni cui si può assistere rare volte. Ricordo perfettamente che su ogni sedia poggiava un individuo che si vantava di essermi amico. A capotavola, sedeva “il single” per eccellenza che, ogni mattina, mi offriva una passeggiata in sua compagnia al fine di presentarmi la più bella ragazza del paese. Agli estremi di sinistra, avevo due personaggi singolari: proprio davanti alla fedele riproduzione del busto di Niccolò Machiavelli, si ergeva imponente la figura dell’amico “scaltro”, colui che mi metteva a disposizione la sua arguzia e spregiudicatezza per ottenere il perseguimento di qualunque fine senza interessarsi dei mezzi utilizzati; dall’altro lato, invece, ammiravo lo sguardo perso e un po’ sognatore dell’ “idealista”, il cui miglior pregio era la passione che riponeva in tutte le imprese, soprattutto le più impossibili. In posizione frontale rispetto ai miei occhi, il “comico” del gruppo mi regalava le sue battute migliori e la sua allegria era, senz’altro, una dote insostituibile per le mie giornate buie. Alla mia destra, da un parte, mi stuzzicavano le vicende del “saggio filosofo” che non perdeva occasione per rammentarmi quali avrebbero dovuto essere i principi cardine da seguire per vivere un’esistenza migliore; dall’altro versante, mi incuriosiva il silenzio di un amico che sembrava essere in disparte e lontano dalla scena. Non mi era semplice catalogarlo in qualche particolare schema caratteriale. «Non mi offri nulla, caro amante della quiete?» gli chiesi affamato di sapere. «Purtroppo, niente!» mi rispose con spirito di riflessione. Avvertivo, nelle orecchie, il vociare continuo degli altri commensali che si prodigavano per porgermi le loro attitudini migliori. «Come mai non mi dimostri la tua amicizia? Forse non apprezzi abbastanza il mio essere?» esortai dubitativo e dispiaciuto. «Al contrario, tu sei per me un elemento unico e prezioso in ogni momento della mia vita!». «Non capisco, pertanto, questa tua apatia nei miei confronti». «Non abbiamo necessità di affannarci con effetti particolari. I veri amici non hanno bisogno di questi fronzoli. Noi viviamo semplici e uniti come Pane e Acqua». «E il mio regalo?» domandai avidamente. «La tua amicizia è così immensa che non so come ricambiarti. Non c’è niente di più grande!» mi spiegò il convitato. «Sappi che lo stesso vale per me! Vorrei, tuttavia, porti un’ultima domanda: perché te ne stai in silenzio?». «Perché quando gli altri avranno smesso di parlarti, io sarò ancora lì fermo ad ascoltarti. Non dovrai far altro che un cenno e ti capirò immediatamente». Dopo qualche attimo di pausa, decisi di uscire da quella stanza vuota in compagnia del mio vero Amico. Non avevo bisogno di null’altro. Simone Guaragno intervista allo scrittore Giovanni Nebuloni a cura di Tiziana Iaccarino Se ne parla in giro poiché è una rivoluzione nel settore, un'idea e iniziativa dello scrittore Giovanni Nebuloni e si chiama "Fact-Finding Writing". Ma di cosa stiamo parlando nello specifico? Partiamo dall'inizio. Giovanni Nebuloni è milanese. Appassionato di arte e cultura, intraprende l'attività di scrittore per la voglia di far conoscere uno stile innovativo, e per le capacità comunicative che lo contraddistinguono. Inizia così l'avventura della "Fact-Finding Writing" detta pure "scrittura conoscitiva" ovvero scrivere per conoscere. Autore di opere come "La polvere eterna" (Edizioni di LucidaMente - 2007), "Il disco di Nebra" (inEdition Editrice - 2008), "Fiume di luce" (2008) e "Dio a perdere" (Prospettiva Editrice - 2011), arriva ad essere conosciuto soprattutto per un romanzo intitolato "Il Signore della pioggia" (Odoya Edizioni) e da allora non si ferma più. Arriva anche l'opera "Viaggi inattesi" per Amande Edizioni, ma di fatto la sua opera più conosciuta resta la precedente a questa. Uno scrittore sui generis, ma parliamo direttamente con lui in questa intervista. Salve Giovanni, grazie per aver accettato questa intervista. Comincio col chiederti da subito quando è iniziata precisamente l'avventura con la corrente letteraria "Fact-Finding Writing"? RISPOSTA: Nel 2009, mentre scrivevo "Dio a perdere" che sarebbe stato il quarto dei sei romanzi ora pubblicati. Mi accorsi che già col primo romanzo, "La polvere eterna", stavo scrivendo per conoscere. Mi ricollegai a Poe, a Dante, a Leopardi, Lawrence Durrell e altri. Valutai che, in parte, questi scrittori avevano scritto per conoscere e decisi di formalizzare le idee in una nuova corrente letteraria. So che stai registrando una grande partecipazione e che molti scrittori si dicono interessati a questa innovazione. RISPOSTA: Perché scrivere per conoscere, od esplorare, appassiona. È come viaggiare e scoprire, senza spostarsi dalla propria stanza. Quali sono i presupposti con i quali presenti questa nuova corrente letteraria? RISPOSTA: Innanzitutto è una realtà, una verità tale agli occhi di tutti. Hai mai pensato di sbarcare all'estero con "la scrittura conoscitiva"? RISPOSTA: Forse prima dovrebbero tradurre e pubblicare i miei romanzi. Spiega ora a tutti i lettori del web cosa significa per la precisione "scrittura conoscitiva"? RISPOSTA: La precisione richiederebbe molto spazio e qui non è possibile. Sto comunque approntando “un manifesto” che inglobi esaustivamente la FFW. In breve: C'è chi scrive per esternare i propri sentimenti o emozioni, chi desidera intrattenere o riportare realtà con piglio giornalistico, eccetera. Io scrivo per conoscere e il mezzo a mia disposizione è il più potente in assoluto. Infatti può comprendere la scienza, la religione, la filosofia, l'esoterismo, altre arti quali il cinema, in pratica ogni espressione. Il contrario non è vero, cioè la matematica, un'ermeneutica o una cosmologia quantistica, per esempio, non possono includere la letteratura. La capacità di acquisire in sé ogni cosa è prerogativa, esclusiva, del linguaggio scritto, e non è a disposizione di qualsiasi altra disciplina o attività umana. L'uomo è diventato ciò che è col linguaggio scritto, dovrebbe pertanto essere “logico” che il linguaggio scritto debba far capire all'uomo quello che è. Infine, raccontaci, se puoi quali sono i tuoi progetti inerenti questa avventura basata sulla conoscenza. RISPOSTA: Sto valutando alcune proposte di allargamento della FFW, sto definendone i dettagli. Per il momento, i progetti si manifestano tramite i miei romanzi ed espressioni nei luoghi virtuali dove “vivo”, FaceBook ecc. Grazie per la tua disponibilità e invitiamo il pubblico a seguirti in questo percorso davvero interessante. Tiziana Iaccarino Si parla delle sue iniziative nel web e soprattutto si registra una grande partecipazione nel gruppo su Facebook dedicato alla nuova corrente letteraria al link: https://www.facebook.com/groups/362847797142849/ e nella Pagina Ufficiale al link: https://www.facebook.com/pages/giovanni-nebuloni-Fact-Finding-Writing/307048589324378 . La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sui "superfarmaci" per Deliri Progressivi. Tanti ci sono ancora mentre altri ci hanno lasciato, alcuni sono frutto di decenni di ricerca, altri invece sono figli di un colpo di fortuna, qualcuno ha cambiato in meglio la vita di molti, qualcun altro invece era disastrosamente inefficace: di cosa sto parlando? Ma di farmaci ovviamente! Sembra strano che una categoria di prodotti così “comuni” e forse anche un po’ odiati (soprattutto dai bambini!), possano essere qualcosa di più che semplici vettori per la guarigione dalle malattie: i farmaci sono storia. Le piccole scatole di cartone, i flaconi di vetro, le scatole di latta dei vecchi farmaci ci raccontano com’era il rapporto tra gli Italiani e la salute, di cosa si ammalavano, cosa utilizzavano per curarsi, cosa prescrivevano i medici, e soprattutto se alla fine guarivano. Il Novecento, infatti è stato un secolo in cui la farmacia ha compiuto passi da gigante, passando da farmaci e tecniche mediche ispirate all’Ottocento, che hanno perdurato fino agli anni Trenta, al “superfarmaco” degli anni Cinquanta – Sessanta, fino alla farmacia moderna, basata su dosi ridotte meno aggressive per l’organismo. Ma non ci si può limitare solo a quello, il rapporto tra gli Italiani e il farmaco è ancora più profondo, tanto da “rompere” la schematicità della storia per diventare un vero e proprio ricordo, legato indissolubilmente alla loro memoria. Il Rim, lo Streptosil, il Veramon, sono tutti nomi ad oggi dimenticati, che per molti invece ricordano l’infanzia o addirittura una persona: il nonno e le Pastiglie Bertelli, la zia che prendeva solo ed esclusivamente il Saridon e quelle tre confezioni di Formitrol memento di quella terribile tonsillite alla beata età di dieci anni. Tutti questi bei ricordi, ovviamente fanno sorgere un dubbio: perché tante delle “vecchie glorie” della farmacia italiana se ne sono andate? Il Formitrol è stato sicuramente uno dei farmaci più venduti ed apprezzati degli anni Cinquanta / Sessanta, con i suoi 2 cg di formaldeide era in grado di sconfiggere i mal di gola più terribili. Peccato che questa molecolina si sia poi dimostrata cancerogena nonché mutagena. Stessa fu la sorte del Rim, il lassativo più amato dai bambini: sotto forma di cubettini di marmellata era una ghiottoneria più che un farmaco, il che molte volte ha creato degli spiacevoli “incidenti di percorso” causati dalla troppa golosità. Ovviamente la marmellata da sé non bastava a fornire il desiderato effetto lassativo, e allora era necessario affidarsi alla fenolftaleina, che purtroppo anche lei bene non faceva. Infatti, quando negli anni Ottanta la molecola fu ritirata dal mercato, fu un brutto colpo per l’industria del lassativo italiano: più della metà dei farmaci dell’epoca erano a base di fenolftaleina. Lo Streptosil, insieme al cerotto Leucoplasto è un’icona della gioventù dalle ginocchia sbucciate, quanta streptomicina è stata usata dalle mamme per medicare i pargoli sempre per terra! Questo farmaco fu così tanto venduto e diffuso che ne nacquero delle diverse varianti anche per gli allergici ai sulfamidici. Oggi esiste ancora, ma con una diversa formulazione: insomma dello Streptosil originale conserva solo il nome. Già dai primi anni del Novecento, il Veramon era un’istituzione in caso di mal di denti, esattamente come lo era il Saridon per il mal di testa o i dolori mestruali. Peccato che il primo contenesse un derivato di barbiturici e il secondo un potente sedativo: per forza che funzionavano! Il nonno, invece, che ci teneva a curarsi ma solo in maniera naturale, per la sua tosse prendeva solo le Pastiglie Bertelli, all’estratto di Lactuca virosa, parente della comune lattuga da tavola, contenente alti tassi di lattucina, molecola che agisce a livello del sistema nervoso centrale per sedare la tosse, indurre sonnolenza e se sovradosata anche allucinazioni. Sì, la farmacia del Novecento riserva una grande quantità di sorprese, e se per caso vi foste arrabbiati a morte con le industrie farmaceutiche, vi fermo prima: quando questi farmaci furono ideati, ovvero nei primi anni del Novecento, non c’erano le conoscenze metaboliche e fisiologiche di oggi, perciò non si poteva sapere che questi medicinali avessero delle controindicazioni, e man mano che le nuove tecnologie si sono sviluppate, ecco che i nostri cari farmaci furono indagati a fondo, e nel caso in cui non fossero stati idonei, riveduti e corretti. Il mio lavoro, che svolgo tramite il blog La Farmacia d’Epoca è quello di conservare la memoria storica di questi oggetti, affinchè anche tra cent’ anni si sappia che Paneraj non è solo una marca di orologi, che Sapol Mani non è soltanto un calciatore togolese, che Solarson non è unicamente una ditta di impianti fotovoltaici e che di Carlo Erba c’è anche il pittore. Giulia Bovone del blog la Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi per altre scatole e curiosità: http://blog.libero.it/lfde/view.php?reset=1&id=lfde |
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Marzo 2020
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