«Vedi tesoro? In fondo non possiamo lamentarci...c’è chi sta peggio di noi e mangia soltanto pane e miseria, ricoprendosi sempre con gli stessi luridi stracci!». È un delizioso pomeriggio di fine maggio e, come tutti gli altri giorni, Adelina scende a giocare con l’amichetta che abita in una casa vicina: Flavia. Le bambine hanno uguale età, anche se non frequentano la stessa classe di scuola.
Flavia adora sfoggiare i suoi giochi; le piace mostrarli e vantarsi usandoli. Difficilmente, permette all’amica di toccarli, ma è l’unica bambina con la quale Adelina può giocare in quel quartiere dato che sua madre, Anna, non vuole che si allontani. Sono le cinque e la mamma di Flavia scende le scale per porgere a sua figlia un generoso panino imbottito. «Che schifo…non lo voglio così, lo sai che non mi piace. Fanne un altro!» replica la bambina contrariata. La madre sbruffa un po’; poi, porge il succulento panino verso Adelina: «Mangialo tu o finirà in spazzatura come le altre volte; Flavia sali in casa a vedere cosa preferisci ti metta all’interno». Rimasta sola, Adelina guarda quella manna cadutagli dal cielo; il palato le si riempie d’acquolina e, ancor più insistenti, si odono i brontolii del suo pancino vuoto. I genitori di Adelina vivono un brutto momento. Il padre è in ferie forzate per un piccolo incidente sul lavoro: lavora in nero come muratore ed è caduto da una piccola impalcatura, fratturandosi una gamba; ciò significa un fermo non retribuito di più d’un mese e le entrate già non sono granché. La mamma, invece, arrotonda con piccoli lavori di sartoria a conoscenti. Molti, tuttavia, tardano a pagarla o retribuiscono con prodotti di loro produzione; anche, in tal modo, per la donna accetta ben volentieri. Quel giorno, il pranzo non è granché come del resto tutti gli altri addietro. La tavola è bandita scarsamente e le provviste in dispensa sono quasi finite. Il frigo, tra l’altro, rinfresca il solo latte. Il panino le avrebbe fatto dimenticare tutto fino a sera, ma c’è altro che Adelina non può scordare. Poco distante da casa sua, in un quartiere più in entroterra, sporco e poco tranquillo, vive una sua amichetta: Giulia. La bambina, ultimamente, non si reca neppure a scuola; rimane fuori la porta di casa, una sorta di garage adattato, a giocare con la sorellina Lucia. Giorni prima, Adelina ha visto le due bambine passando di là con sua madre e ricorda che lei le disse: «Vedi tesoro? In fondo non possiamo lamentarci...c’è chi sta peggio di noi e mangia soltanto pane e miseria, ricoprendosi sempre con gli stessi luridi stracci!». Adelina ripensa a quelle parole e rivede le due magrissime ragazzine ogni volta che il pancino le brontola e si sazia di una pietanza poco gradita. Anche adesso, mentre stringe tra le mani quella delizia, gli sguardi di Giulia e Lucia le tornano in mente; perciò, le balena un pensiero. Sua madre non vuole che lei vada in quel quartiere, ma la bambina ha già preso la sua decisione; s’incammina convinta verso le meno fortunate amichette. Giunta davanti la loro abitazione, le vede indaffarate e sorridenti alle prese con uno strano gioco. Nulla di simile agli splendidi balocchi di Flavia o alle sue bambole agghindate, né paragonabile alla sua bici rosa o al suo monopattino rosso sgargiante; eppure, tra le loro mani e sparpagliati sugli scalini, nota una moltitudine di tappi colorati che sembrano piccoli gioielli. «Ciao Giulia, neanche oggi sei venuta a scuola…a cosa state giocando?» chiede Adelina. «È il nostro giardino…non vedi quanti fiori colorati? Vuoi giocare con noi?» risponde prontamente la bambina. «Certo…si può fare merenda in questo vostro meraviglioso giardino? Ho un buonissimo panino imbottito che vorrei dividere con voi dato che è troppo grande da mangiare da sola!» replica Adelina, mentendo. Gli occhi delle due bambine sgranano e iniziano a brillare più delle stelle del cielo nella notte di San Lorenzo; un tacito e recondito desiderio viene esaudito anche in quel contesto. Giulia e Lucia fanno spazio, tra “rose, margherite e tulipani”; le tre ragazzine dividono gioiose quel boccone. Adelina pensa che mai, come in quel momento, si è sentita tanto felice di giocare con un’amica. © di Rita Veloce 2012 (Racconto presente nel libro di fiabe LATTE DI LUNA)
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I Farmaci nella letteratura: i ricostituenti all'Arsenico in Madame Bovary - Gustave Flaubert11/20/2013 La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sui i ricostituenti all'ARSENICO narrata da Gustave Flaubert in MADAME BOVARY. ![]() Dopo la morte di un essere umano, si sprigiona sempre un senso di stupore tanto è difficile capacitarsi di questo sopravvenire del nulla e rassegnarsi a credervi. Quando Charles si accorse dell'immobilità di Emma, si gettò su di lei gridando: «Addio! Addio!» Homais e Canivet lo trascinarono fuori della stanza. «Si calmi!» «Sì,» diceva lui dibattendosi «sarò ragionevole, non farò niente di male. Ma lasciatemi! Voglio vederla! È mia moglie!» E piangeva. «Pianga,» disse il farmacista «si sfoghi, questo l'aiuterà!» Divenuto più debole di un fanciullo, Charles si lasciò condurre dabbasso, nel salotto, e il signor Homais ben presto se ne andò a casa. Sulla piazza gli si avvicinò il cieco che si era trascinato fino a Yonville fiducioso nella pomata antiflogistica, domandando a ogni passante dove abitasse lo speziale. «Andiamo bene! Come se non avessi nient'altro da fare! Peggio per te, torna più tardi!» E Homais entrò precipitosamente in farmacia. Doveva scrivere due lettere, preparare una pozione calmante per Bovary, studiare una bugia per nascondere l'avvelenamento e redigere un articolo per il Faro di Rouen, senza contare le persone che lo aspettavano per avere notizie; quando tutti gli abitanti di Yonville ebbero ascoltato la storia dell'arsenico che la signora Bovary aveva scambiato per zucchero, preparando una crema alla vaniglia, Homais tornò di nuovo da Bovary. Gustave Flaubert – Madame Bovary – Fratelli Fabbri Editore ![]() L’arsenico è sempre stato considerato il “veleno” per eccellenza, responsabile di centinaia di morti di personaggi reali e letterari, ma pochi sanno che l’elemento chimico in questione, ha vissuto anche un periodo di “rinascita” in cui fu impiegato come ricostituente, che ovviamente non ricostituiva affatto. Dopo una breve comparsa nel campo alimentare come additivo per “tagliare” lo zucchero, che nel 1858 causò il Bradford Sweet Poisoning (l’avvelenamento da caramelle di Bradford), dove rimasero intossicate più di 200 persone, l’arsenico giustamente divenne un prodotto da farmacia, e come tale attirò l’attenzione di tanti farmacisti, complice anche la “riscoperta” da parte degli Inglesi della medicina tradizionale cinese, che vedeva nell’arsenico, un tonico eccezionale. Arrivarono così sugli scaffali di metà Ottocento il Liquore di Fowler, la Soluzione di Pearson e molti altri beveroni che prevedevano tra i loro ingredienti arsenico puro o sotto forma di sali organici, meno tossici ma non di molto. Il vero “via libera” alle cure a base di arsenico puro fu dato nel 1910, quando comparve il Salvarsan, il primo vero ritrovato farmaceutico che riusciva in qualche modo a contrastare la sifilide: da quel momento piccole quantità di arsenico furono aggiunte a qualsiasi ricostituente degno di questo nome. ![]() Nell’Italia della prima metà del Novecento erano disponibili centinaia di formulazioni di questo genere, sia industriali che artigianali, tra cui spiccavano però dei preparati più conosciuti, come lo Iodarsolo Baldacci, in flacone o in fiale per sifilitici, l’Eutrofina, perché per crescere dei bambini sani è forti l’arsenico è il non plus ultra, e il Tonico Bayer, bizzarro discendente del Vin Mariani, che tra i suoi ingredienti annoverava, sali organici di arsenico, stricnina, vino liquoroso, acido benzoico e vitamina C, che reagiva con la molecola precedente per produrre piccole quantità di benzene, molecola nota per il suo prezzo in costante aumento e per la sua natura di cancerogeno. ![]() Fortunatamente, la scoperta degli antibiotici permise di combattere in maniera più sicura e meno tossica la sifilide, e i primi studi tossicologici misero in luce che forse le proprietà ricostituenti dell’arsenico e dei suoi sali, forse non sono mai esistite. Con il crollo di questa convinzione, anche il mercato dovette celermente adattarsi: già dai primi anni Cinquanta l’arsenico iniziò a scomparire, per lasciare spazio ai mix multivitaminici come il Protovit 9 della Roche ed il celeberrimo Cebion Bracco. Riconosco infine che la notizia dell’uso diffuso di arsenico nei farmaci della prima metà del Novecento, possa aver turbato parecchi di voi, facendo crescere la diffidenza verso i prodotti delle case farmaceutiche moderne, ma tenete ben presente che a differenza di Monsieur Homais, il quale doveva tenere ben segreto il fatto che la sua negligenza nel custodire l’arsenico sia stata la causa della morte di Emma Bovary, le industrie farmaceutiche dell’epoca non avevano i mezzi diagnostici per valutare l’impatto a lungo termine dell’impiego dell’arsenico e dei suoi sali. Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi |
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