C’è nebbia questa mattina; le colline sono come scomparse, inghiottite dall’aria umida e densa. Neppure gli ulivi, con le loro fronde argentee e i contorti tronchi secolari, riescono a tagliare quest’appanno con le loro sagome scure. Da lontano l’abbaiare insistente d’un cane sollecita quelli più vicini a fare altrettanto. <<Che diavolo hanno da abbaiare? È già deprimente quest’aria, ci mancavano loro a rendere la mattinata ancora più fastidiosa!». Dennis è particolarmente nervoso e si è svegliato già arrabbiato con il mondo. Ultimamente le cose non vanno affatto bene; sembra davvero che nulla vada per il verso giusto. Non riesce a trovare lavoro ma, ancor peggio, non riesce a trovare un suo posto tra gli altri, il suo ruolo, il suo scopo. «Dovrei uscire…”dovrei”, ma perché dovrei? È inutile battere campi già battuti, ripetere domande già fatte…per cosa poi? Per sentirsi dare sempre le stesse risposte? Altro non c’è da fare lì fuori; eppoi, con un tempo così…meglio restare a casa» pensa tra sé e sé il giovane. Prepara lentamente la moca e accende il fornello a fiamma bassa, poi si siede al tavolo della cucina e accende il portatile lasciato lì sopra la sera prima. Accede al profilo che si era creato in un social network e “da un occhiata in giro”. «Bla, bla, bla…sempre le solite inutili stupidaggini; i soliti sdolcinati saluti e commenti. Sembra che non abbiano niente da fare dalla mattina alla sera, sempre collegati…già…come me del resto» pensa con un velo di sarcastica tristezza. Il rumore del caffè che gorgheggia nella caffettiera è musica in quel momento. Dennis se ne versa una tazzina e torna a sedere davanti al PC; tanto, non ha niente di meglio da fare. La luce rossa in alto a sinistra della pagina aperta attira il suo sguardo. È un messaggio arrivato. «Mi sono svegliata questa mattina come sempre nel vuoto; la mia notte è sempre buia e il giorno non ha certo più luce della notte. Dennis, perdonami, sei stato uno dei pochi amici, di questo bizzarro mondo virtuale, ad esserci sempre stato, ma io non ci riesco, amico mio, non riesco più ad esserci, non riesco più a credere che possa cambiare qualcosa. Non cambierà nulla, né la mia vita, né il mio dolore, nulla. Addio, mi dispiace. Cinzia.» «Che significa? Vuole farla finita?...ma porca miseria…che gli passa per la testa a quella matta?» dice il giovane a voce alta. «8,40…è di tre minuti fa, speriamo ci sia ancora: «Cinzia, ci sei? Parlami, per favore…». Dennis cerca le parole per trattenerla in chat e prega Dio di trovarne poi altre per farla desistere, per fermarla. «Si, ci sono…» è la risposta e tra i due inizia uno scambio di battute. «Cosa ti prende stamattina? Che c’è di diverso? È la solita giornata di merda…passerà anche questa…o è successo qualcos’altro? Dimmi…» «Niente, non c’è niente di diverso…non è accaduto nulla di nuovo..è questo il punto…» «Non capisco…spiegami» «Sono stanca Dennis…non c’è niente da capire…sono solo stanca…» «Ascolta…stamattina mi sono svegliato e ho trovato la nebbia…non si vede ad un palmo di naso e tanto…non c’è niente da vedere. Odio la nebbia, ma stranamente, forse è l’unica cosa di diverso che mi è capitato da tantissimo tempo a questa parte. Credi non ti capisca? Sono stanco anch’io…però…ascolta…che ne pensi di incontrarci? Ne parliamo di persona magari…è più semplice…qui non mi riesce» «Parlare di cosa Dennis? Credi che ci cambierebbe la vita? Lascia stare…lo sai come la penso…» «Mettila così…cos’hai da perderci? So bene come la pensi: “niente incontri”, ma…per una volta Cinzia…una volta soltanto…facciamo solo una passeggiata, una gita…magari non ci cambia la vita, ma meglio che stare in questo guscio di noce a vaneggiare, no?» «Ahahah…un guscio di noce…ok, forse hai ragione tu, tanto peggio di così non può andare» «Visto? Ti ho fatto sorridere…forse in fondo la mia inutile vita può servire a qualcosa. Prendo la macchina e vengo da te. Dove ci vediamo?» «Quando sarai qui sarà ora di pranzo da un pezzo…facciamo così..c’è una pizzeria all’entrata del paese “Pepe e Sale”, è il nome, non è difficile da trovare…te la troverai proprio davanti. Ci vediamo lì» Dennis esce di casa come un fulmine, non è poi così sicuro che la donna lo incontrerà davvero, né che dissolverà quei lugubri pensieri aspettandolo, ma ci deve provare; in fondo la sente davvero “parte della sua vita”, seppure una vita “virtuale”. Seicento chilometri in poco più di quattro ore. Forse ha guidato da incosciente, ma il suo unico pensiero era fare il prima possibile. All’entrata del paese si va sempre dritto, impossibile sbagliarsi: l’insegna di “Pepe e Sale”se la trova davanti proprio come descritto. «Assurdo. Neppure l’ho mai vista e non ho neanche il suo cellulare. Questo non è tuffarsi nell’avventura, è follia pura» pensa l’uomo tra sé e sé. Fuori della pizzeria i tavolini sono pochi, ma tutti occupati e Dennis, accostata la macchina, si ferma ad osservare i commensali uno ad uno. Sono per lo più ragazzi, sicuramente studenti; un paio di coppiette e: «Eccola, sicuramente è lei» pensò l’uomo guardando una donna sola, sulla quarantina, decisamente con l’aria di essere in attesa di qualcuno, visto le volte che nervosamente guardava l’orologio. Dennis scende dalla macchina e si dirige verso di lei. Cinzia ha notato la scena e si è raddrizzata sulla schiena tradendo sul viso la lecita domanda: “sarà lui?”. Ma la donna ha il vantaggio di averlo visto in foto, dato che Dennis l’ha usata come immagine del suo “profilo”sul social network. Vederlo di persona, però, è decisamente tutta un’altra cosa. «Cinzia?» è banale la domanda, ma dovuta, per non cadere in errore; Dennis doveva farla. La donna annuì con un sorriso. «Ciao! Ho fatto il prima possibile, è tanto che aspetti?». Ora per Dennis si presenta la parte più difficile, forse lo sarà per entrambi, intraprendere una conversazione. Il cameriere della pizzeria, per ora, li toglie dall’imbarazzo. I due ordinano lo stesso tipo di pizza: una margherita. Chissà, forse piace davvero ad entrambi più di tutte, o forse nessuno dei due ha voluto complicare l’ordine. «Sono qui da mezz’ora ed ero convinta che ti avrei aspettato ancora per un bel po’» fu la tardiva risposta della donna; e continuò: «Ma non c’era nebbia dalle tue parti? Sei stato un incosciente a correre in questo modo. Non ce n’era bisogno, ti avrei aspettato». «Non mi sembra che avessi molta scelta, non mi hai certo mandato un messaggio gioioso e sereno stamattina» replica l’uomo un po’ scherzosamente. Il cameriere arriva presto con due belle pizze fumanti e i due cominciano a mangiare discorrendo di banalità, con domande e risposte inerenti al luogo circostante, comparandole ai luoghi d’origine di Dennis. Alla pizza si aggiungono due porzioni di patatine fritte e due aranciate, ma il pranzo è presto finito e il conto pagato, dopo un breve dibattito tra i due sul chi doveva offrire. «C’è un fiumiciattolo che taglia il paese e, poco distante da qui, un sentiero che porta ad una sorgente. È un posto molto bello, se ti piace la natura; che ne pensi, facciamo una passeggiata lì?» propone Cinzia. «Mi sembra un ottima idea e poi qui da voi c’è un sole delizioso. Andiamo» è la risposta. I due s’incamminano a piedi e Dennis segue Cinzia in silenzio; al momento ha finito gli argomenti poco impegnativi da affrontare. Imboccato il sentiero, la salita comincia a pesare sul respiro dell’uomo che non riesce più a nascondere l’affanno. «Non sei abituato a camminare, vero? Ma non ti preoccupare, non andremo fin sulla cima della montagna. Ci fermiamo poco più sopra di qui, alla cascata. È piccola, ma vedrai che è un posto davvero delizioso» dice la donna indicando un punto che, a linea d’aria, pareva davvero vicino. Cinzia abbassa il capo per nascondere un sorriso un po’ beffardo che le sfugge nel notare lo sguardo preoccupato di Dennis mentre punta il naso verso la cima del monte. In effetti, dopo mezz’ora di salita, sopraggiungono alla cascata. Lo scenario che si presenta davanti agli occhi dell’uomo supera tutte le aspettative; è stata dura per lui, ma ne era valsa decisamente la pena. Si respirava un aria leggera, che profumava di terra ed erba bagnata. La cascata non era molto grande, ma la caduta era piuttosto alta. Un’impalpabile nebulosa d’acqua s’alzava, dal basso verso l’alto fino a toccare il cielo, e creava, investita dai raggi del sole, un meraviglioso arcobaleno dalle sfumature intense e ben delineate. Dennis non ricorda di averne mai visto uno più bello e gli sembrava così vicino che se si fosse arrampicato un po’, solo un po’, per il pendio, era convinto che sarebbe riuscito a toccarlo. Di certo lo sentiva sul viso, racchiuso in quelle minuscole goccioline d’acqua di cui l’aria era pregna. E non era solo una sensazione visto che, ad un certo punto, si rese conto d’esser umido dalla testa ai piedi. Cinzia lo vide toccarsi i capelli, il viso e i vestiti e disse: «Eh si, ci siamo decisamente bagnati. Colpa mia, dovevo pensarci e portare due impermeabili; ne ho sai? Ma non l’ho portato neppure per me. Eppure ogni tanto ci vengo qua su e lo so bene. Vieni… spostiamoci al sole e un po’ più distanti, ci asciugheremo in fretta, vedrai». Dennis sorride e la segue nel punto che lei gli indica. In effetti, sotto i raggi diretti del sole si stava decisamente più caldi e sicuramente si sarebbero asciugati in men che non si dica. Stare seduti li al sole, su quel lembo di prato come due lucertole, gli svuota la mente da tutti i suoi tormenti e, senza quasi accorgersene, Dennis comincia a raccontare, non dei suoi problemi, quelli sono stati detti e ridetti, ma dei suoi sogni di ragazzo che, oramai, sente irrealizzati e perduti: «Era così bella la spensieratezza…se solo ne fossi stato cosciente! Avevo tanti sogni e non ho avuto modo, o coraggio, di realizzarne neppure uno. Ed ora… ora non si torna indietro». «Credo che un po’ tutti abbiamo da contestare le scelte fatte o recriminare sulle occasioni mancate, rammaricandosi del proprio vissuto. Eterni insoddisfatti, ecco cosa siamo, ma i rimpianti e le nostalgie non servono né a cambiare il passato, né a migliorarci il futuro. Possiamo solo fare tesoro degli errori commessi, portare di buona lena il peso del nostro vissuto, vedendolo come prezioso bagaglio e guardare avanti con fiducia, più che altro in noi stessi che nel destino. Gli eventi non si attendono inermi, si creano!» pronunciò Cinzia, lasciando Dennis attonito nell’udire quelle parole. «Ma come, non eri quella che stamattina era pronta a farla finita? A gettare la spugna, arrendendosi ad una vita che non gli stava dando più nulla?» replicò l’uomo. «Farla finita?...suicidarmi intendi?...Io?...ahahah..» rispose la donna scoppiando in una fragorosa risata. «Hai frainteso Dennis, io volevo solo chiudere il mio “profilo”; uscire da quel mondo vuoto di sentimenti veri, di gente autentica …» concluse Cinzia, spiegando il malinteso. «Va bene, ho frainteso, ma mi sono preoccupato per te; ho fatto seicento chilometri per venire a salvarti…o almeno, è ciò che credevo. E tu dici che in quel mondo virtuale nulla è reale? Non ci sono persone sincere, sentimenti veri?...e io chi sono? Cosa sono?» La donna smette il sorriso, Dennis ha ragione. Ha giudicato “l’ insieme”, senza guardare i “singoli”. In effetti, ora che ci riflette su, qualche buon amico c’era, lì per lei. Amici sempre presenti, anche se non erano collegati nel preciso istante del bisogno di loro. Amici sempre pronti ad ascoltarla, anche se alle volte i suoi discorsi erano magari un po’ sconclusionati. Un amico come Dennis. No, non Dennis; lui era speciale per lei e forse era questo il suo problema. Cinzia abbassa lo sguardo, mentre tristezza, e forse vergogna, le velano il viso. Ora è Dennis a sorridere e a “tirare a se” la donna per una spallina della giacca, per poi avvolgerla teneramente in un abbraccio. Eh si, qualcosa di nuovo, quel giorno, era davvero accaduto e non era certo quella maledetta nebbia. Se a distanza, e dietro un monitor, i sentimenti si svelano incerti, confusi, in un abbraccio reale tutto diviene più chiaro, rivelatore. Forse, in realtà, l’inquietudine di entrambi, il senso di vuoto, era proprio la mancanza di quel contatto, di quel finalmente capire, di poter finalmente “toccare con mano” un sogno. Un duro e freddo guscio di noce, in fondo, non rivela la sua anima morbida e nutriente? Sentirsi vivi davvero. La vita è bella perché, proprio quando credi che non ci sia più nulla di lei che possa stupirti, eccola pronta a travolgerti e stravolgerti…e con il dono più prezioso che ti può fare: l’amore. Chiudersi in un “guscio” non vuol dire proteggersi dal mondo, ma tenere fuori ogni sua meraviglia. A Dennis tornavano alla mente le parole di Cinzia nel messaggio di quella mattina: “..non c’è niente da capire…”, già, non c’è niente da capire, perché porsi domande inutili? Ciò che bisogna fare è solo “ascoltare” la voce del cuore e seguirlo dove ci conduce. Ogni cosa che si fa, si sceglie, si vive, ascoltandolo, non è mai inutile, mai vuoto, mai tempo sciupato e, soprattutto, mai una follia, seppur vivere con un pizzico di follia non è poi così male. Si stava così bene seduti sull’erba a guardare l’arcobaleno e a deliziarsi dello scroscio della cascata. Si sta meravigliosamente accanto ad una persona che, per la sola sua presenza, ti allieta l’esistenza. Tutto il resto può aspettare. Da adesso in poi ci saranno nuovi sogni da sognare, nuove speranze e nuove forze per superare ogni difficoltà che potrebbe sopraggiungere lungo il cammino, perché da adesso in poi affronteranno tutto insieme e non c’è bisogno di dir nulla, è bastato quell’abbraccio e guardarsi nel profondo dei loro sguardi, proprio lì dove parlava il cuore. Rita Veloce BUON SAN VALENTINO!
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Oggetti di culto, sconosciuti o quasi ad intere generazioni cresciute con dosi massicce di innovazione tecnologica, dal walkman agli Ipod, passando per gli MP3, ricordati con un pizzico di malinconia da molte altre: quelle che bazzicavano nei bar delle grandi città, ma anche di piccoli paesi, o quelle che affollavano gli stabilimenti balneari dei ruggenti anni Sessanta.
Stiamo parlando dei jukebox, apparecchi che per quaranta e più anni sono stati formidabili strumenti di intrattenimento pubblico, macchine che hanno fatto sognare e palpitare, dopo gli anni bui del dopoguerra, e che ora sono diventati pregiati ed ammirati pezzi di modernariato, ottimi persino come complemento d’arredo, almeno per quelli che possono permettersi le cifre da capogiro necessarie per assicurarseli. Il funzionamento del jukebox, termine che deriva da juke-joint e che indicava un bar dove si ballava, era molto semplice: si lasciava scivolare una moneta nell’apposita fessura che permetteva quindi l’abilitazione di una tastiera numerica con la quale si andava a selezionare il brano prescelto. Un meccanismo pescava quindi il disco selezionato per adagiarlo sul giradischi ed avviare la riproduzione della canzone, al termine della quale il disco compiva il percorso inverso ritornando nel suo alloggiamento iniziale. La prima “scatola musicale” fu concepita intorno al 1899, ma bisogna attendere sino al 1927 per l’effettiva affermazione per merito della Ami, una tra le maggiori case costruttrici insieme alla Seeburg, alla Wurlitizer e alla Rock-Ola, quest’ultima a tal punto famosa che in Brasile era sinonimo stesso di jukebox. Nel periodo di massimo splendore queste aziende producevano sino a 50 mila apparecchi all’anno, testimonianza più fulgida del grande successo ottenuto da queste macchine per le quali i designer progettavano, di volta in volta, linee sempre più seducenti. Il jukebox divenne ben presto un fenomeno, se non culturale, certamente di costume: attorno ad esso nacquero mode in stile Happy Days e si affermarono persino trasmissioni televisive di successo, come accadde in Italia con il famoso Festivalbar che ogni anno proclamava la canzone “regina” dell’estate, quella per l’appunto più gettonata. Questi oggetti che hanno contrassegnato un’epoca hanno subìto un lento ma inesorabile declino anche per l’avvento delle radio libere e degli apparecchi più moderni atti alla fruizione della musica senza vincoli di tempo e spazio, come quelli citati all’inizio. Resta il ricordo di stagioni ormai perdute, quelle in cui per sognare bastava una rotonda sul mare, una gazzosa, una ragazza da conquistare e una moneta da far inghiottire ad un Rock-Ola o ad un Wurlitzer. Eugenio Nascimbeni Steve Kordek, chi era costui?
Potremmo cominciare da questo interrogativo, che ci rimanda al Carneade citato dal Manzoni, per inquadrare questo storico personaggio che ha allietato intere generazioni, ed il cui spirito sopravvive ancora oggi nel ricordo di quelli che si sono deliziati con la sua intuitiva invenzione. A Kordek, uomo d’affari americano di origini polacche, grande e geniale mente dell’intrattenimento, morto all’età di cent’anni nel febbraio 2012 in Illinois, si deve la nascita della moderna versione del flipper, o pinball come fu chiamato negli Stati Uniti, la famosa macchina da svago che ha invaso i bar e le sale giochi di tutto il mondo a partire dagli anni Cinquanta. In origine il flipper era soltanto un piano inclinato lungo il quale scivolavano delle biglie d’acciaio lanciate da un pistone a molla e che finivano la loro corsa, in maniera del tutto casuale, in buche che assegnavano poi un punteggio. Successivamente furono costruiti apparecchi più moderni, ma la grande intuizione di Kordek fu quella di ridisegnare il pinball con due soli respingenti o flipper, permettendo in tal modo al giocatore di avere un maggiore controllo, facendo sì che potesse emergere l’ abilità individuale ed aumentando in tal modo il piacere della partita Questo, per lungo tempo, fu lo standard adottato da tutti i costruttori di flipper. Kordel ebbe altresì il merito di avere inventato i bersagli che cadono una volta colpiti dalla biglia, e di avere fornito ai due flipper energia a corrente continua, a differenza dei primi che possedevano corrente alternata meno potente. Il flipper ebbe una grandissima popolarità anche in Italia a partire dal dopoguerra, ma inizialmente subì l’ostracismo di molti benpensanti che lo vedevano come un apparecchio che favoriva il gioco d’azzardo: ciò comportò una rigida regolamentazione che imponeva ai costruttori di non consentire al giocatore alcuna vincita, neppure quella costituita dalla ripetizione di una semplice partita. Il suo successo durò a lungo, fino agli anni Settanta, ed influenzò persino la cultura musicale dell’epoca: ricordiamo a tal proposito l’opera rock “Tommy” degli Who tutta incentrata sulla figura di un ragazzo sordo, cieco e muto, vero e proprio mago del flipper, con il suo celebre pezzo Pinball Wizard scritto dal chitarrista Pete Townshend Da quando ero un bambino, giocavo con la pallina d’argento Da Soho a Brighton ho giocato con tutti i flipper ma non ho mai visto nessuno come lui In nessuna sala giochi. Questo ragazzo sordo, muto e cieco gioca in modo strepitoso a flipper! Si ferma come una statua, Diventa parte della macchina. Sente tutti i rimbalzi gioca sempre in un modo pulito. gioca d'intuito, il punteggio scorre. Agli inizi degli anni Ottanta ebbe inizio il suo declino: lentamente cominciò a sparire dai locali per l’avvento dei videogiochi e delle slot-machine. La passione per le vecchie cose del passato e per un fenomeno di massa che ha contrassegnato un’epoca, ha permesso di recente una riscoperta di questo gioco. L’associazione “Tilt” di Bologna http://www.tilt.it/flipper_pinball/ si preoccupa di raccogliere i vecchi flipper con l’idea, davvero apprezzabile, di creare un vero e proprio museo storico. In Italia i molti appassionati di flipper si raccolgono intorno alla IFPA Italia, l’associazione internazionale del flipper pinball, che organizzerà per la prima volta nel nostro paese, a Rimini nel prossimo mese di marzo, il Campionato Europeo di flipper sportivo: un’occasione, per chi è interessato, per rivivere da vicino il magico mondo di un oggetto di culto che, in fondo, non è mai morto per davvero. http://www.ifpaitalia.it/epc-2014-european-pinball-championship Eugenio Nascimbeni |
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