Oggetti di culto, sconosciuti o quasi ad intere generazioni cresciute con dosi massicce di innovazione tecnologica, dal walkman agli Ipod, passando per gli MP3, ricordati con un pizzico di malinconia da molte altre: quelle che bazzicavano nei bar delle grandi città, ma anche di piccoli paesi, o quelle che affollavano gli stabilimenti balneari dei ruggenti anni Sessanta.
Stiamo parlando dei jukebox, apparecchi che per quaranta e più anni sono stati formidabili strumenti di intrattenimento pubblico, macchine che hanno fatto sognare e palpitare, dopo gli anni bui del dopoguerra, e che ora sono diventati pregiati ed ammirati pezzi di modernariato, ottimi persino come complemento d’arredo, almeno per quelli che possono permettersi le cifre da capogiro necessarie per assicurarseli. Il funzionamento del jukebox, termine che deriva da juke-joint e che indicava un bar dove si ballava, era molto semplice: si lasciava scivolare una moneta nell’apposita fessura che permetteva quindi l’abilitazione di una tastiera numerica con la quale si andava a selezionare il brano prescelto. Un meccanismo pescava quindi il disco selezionato per adagiarlo sul giradischi ed avviare la riproduzione della canzone, al termine della quale il disco compiva il percorso inverso ritornando nel suo alloggiamento iniziale. La prima “scatola musicale” fu concepita intorno al 1899, ma bisogna attendere sino al 1927 per l’effettiva affermazione per merito della Ami, una tra le maggiori case costruttrici insieme alla Seeburg, alla Wurlitizer e alla Rock-Ola, quest’ultima a tal punto famosa che in Brasile era sinonimo stesso di jukebox. Nel periodo di massimo splendore queste aziende producevano sino a 50 mila apparecchi all’anno, testimonianza più fulgida del grande successo ottenuto da queste macchine per le quali i designer progettavano, di volta in volta, linee sempre più seducenti. Il jukebox divenne ben presto un fenomeno, se non culturale, certamente di costume: attorno ad esso nacquero mode in stile Happy Days e si affermarono persino trasmissioni televisive di successo, come accadde in Italia con il famoso Festivalbar che ogni anno proclamava la canzone “regina” dell’estate, quella per l’appunto più gettonata. Questi oggetti che hanno contrassegnato un’epoca hanno subìto un lento ma inesorabile declino anche per l’avvento delle radio libere e degli apparecchi più moderni atti alla fruizione della musica senza vincoli di tempo e spazio, come quelli citati all’inizio. Resta il ricordo di stagioni ormai perdute, quelle in cui per sognare bastava una rotonda sul mare, una gazzosa, una ragazza da conquistare e una moneta da far inghiottire ad un Rock-Ola o ad un Wurlitzer. Eugenio Nascimbeni
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Settembre 2024
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