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L'epilessia e Dostoevskij - la Farmacia d’Epoca di Giulia Bovone 

4/23/2015

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La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato
da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sull'epilessia.
Ne parla anche
Dostoevskij nell'idiota, dove l'epilessia era ancora etichettata come una manifestazione divina o peggio, come l’effetto di una possessione demoniaca.

a cura di Giulia Bovone
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“Ciò accadeva dopo una serie di forti e dolorosi attacchi del mio male, ed io sempre, quando la mia malattia si faceva sempre più forte e gli attacchi si ripetevano per più volte di seguito cadevo in un totale inebetimento, perdevo completamente la memoria, e anche se la mente funzionava, era come se fosse interrotta la sequenza logica dei pensieri. Io non potevo collegare fra loro due o tre idee di seguito. Così almeno mi pare. Quando poi gli attacchi si calmavano, tornavo ad essere forte e sano come ora”


Fëdor Dostoevskij - “ L’Idiota” - Mondadori


“Morbo caduco”, “mal comiziale”, “morbo sacro”, sono forse gli epiteti più famosi con cui è conosciuta l’epilessia, una condizione neurologica caratterizzata da episodi di perdita di coscienza e convulsioni. Oggi siamo coscienti che questa patologia ha un background genico o metabolico, ed è trattabile farmacologicamente consentendo una buona qualità della vita nei soggetti affetti, ma nel 1867, quando Fëdor Dostoevskij stava scrivendo “L’Idiota”, l’epilessia era ancora etichettata come una manifestazione divina o peggio, come l’effetto di una possessione demoniaca.


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Per circa duemila anni, l’unica fonte di trattamento per gli epilettici fu l’esorcismo, l’internamento in manicomio o l’emarginazione, in quanto si riteneva che questa condizione neurologica fosse contagiosa, a cui si accompagnavano pratiche assurde volte a guarire il paziente epilettico: infatti basta aprire un qualunque manuale medico dell’Ottocento per sapere che la cura più “vantaggiosa” per trattare l’epilessia era l’applicazione di “coppette e mignatte”, ossia il salasso.

Spesso chi non poteva permettersi di “tenere segreto” il suo morbo in costose cliniche private, veniva internato in manicomio, in quanto fino agli anni Settanta del secolo scorso, l’epilessia era considerata una malattia psichica e una manifestazione di pazzia, incompatibile con la vita sociale: questo infatti spiega perché la maggior parte dei farmaci impiegati negli epilettici, soprattutto nella prima metà del Novecento, ricadono tutti nella categoria degli psicofarmaci pesanti.



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Il fenobarbiltal, o Luminale della Bayer, prodotto anche in una versione per neonati, battezzata “Luminalette”, il Bellergil Sandoz rinforzato con tartrato di ergotamina, il Setran Cipelli a base di meprobamato, uno tra gli anticonvulsivi più noti nel passato, e molti altri sono la testimonianza di quello che è stato uno dei periodi più bui nella storia dei trattamenti contro l’epilessia. Oggi i barbiturici sono solo impiegati nei casi più gravi, preferendo ad essi le benzodiazepine, che producono meno effetti collaterali.

Non tutte le case farmaceutiche però si accodarono alla moda del barbiturico, ed è da segnalare l’approccio della francese Carrion, che negli anni Cinquanta diede alla luce il Di – Hydan a base di fenitoina, una molecola che riduce l’apertura dei canali del calcio a livello cellulare, sopprimendo la scarica ripetitiva di potenziali d’azione che causa gli attacchi. Il Di – Hydan fu una svolta nel trattamento della patologia, ed è ancora considerato un valido antiepilettico.


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Con la legge Basaglia, e la chiusura dei manicomi, finalmente finirono i soprusi sugli epilettici, ma solo sulla carta.
Ancora oggi la vita per chi soffre di questa condizione, spesso è difficile, in quanto a causa di pregiudizi ben radicati, sopravvive la credenza che l’epilessia  possa essere contagiosa, o che possa rappresentare un pericolo per le persone vicine al paziente epilettico, in quanto risulta impossibile prevedere un attacco convulsivo, facendo sì che queste persone facciano molta fatica ad inserirsi nell’ambito lavorativo ,anche con curricola di tutto rispetto.

Intendiamoci: l’epilessia non è una passeggiata, ma se trattata a dovere, permette una buona qualità di vita, e non va assolutamente ad intralciare il lavoro, gli affetti, le aspirazioni, le amicizie, la possibilità di svolgere uno sport, l’avere dei figli e lo scrivere grandi libri, come il buon  Fëdor Dostoevskij, epilettico anche lui, ci insegna.

Di Giulia Bovone della Farmacia d’Epoca  per Deliri Progressivi.

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