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I Farmaci nella letteratura: La denutrizione nel "Canto di Natale" di Charles Dickens

1/2/2014

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La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sulle abitudini alimentari di fine '800  e le malattie derivate da carenze nutrizionali.
Uno sguardo al "Canto di Natale" di Charles Dickens per Deliri Progressivi.
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- Un allegro Natale a tutti noi, cari miei. Dio ci benedica! -

Tutta la famiglia ripetè l'augurio.

- Dio benedica tutti quanti siamo! - disse, ultimo di tutti, Tiny Tim.


Sedeva sul suo sgabelletto, proprio accosto al padre. Bob gli teneva la manina scarna per meglio fargli sentire il suo affetto, e se lo voleva sempre vicino, e quasi avea paura di vederselo portato via.


- Spirito, - disse Scrooge con insolita sollecitudine, - dimmi se Tiny Tim vivrà.

- Vedo un posto vuoto - rispose lo Spirito, - all'angolo del povero focolare, e una gruccetta gelosamente custodita. Se queste ombre non muterà l'avvenire, il fanciullo morrà.

- No, no, - esclamò Scrooge. - Oh no, buono Spirito! dimmi che sarà risparmiato.

- Se queste ombre non muterà l'avvenire, nessun altro della mia stirpe, - rispose lo Spirito, - lo troverà qui. Che monta? S'egli muore, tanto meglio, perché di tanto scemerà il soverchio della popolazione. -

Scrooge abbassò il capo, udendo le proprie parole citate dallo Spirito, e si accasciò sotto il pentimento e il dolore.

Charles Dickens – Cantico di Natale – Liberliber



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Tra i molti bambini letterari, “figli” di Charles Dickens, il piccolo Tim Cratchit è sicuramente uno tra i più conosciuti a livello mondiale. Viene descritto come un bimbo, gracile, paziente, dall’indole forse un po’ più matura e pensosa per la sua età. Fin dalla sua nascita ha convissuto con l’acidosi tubulare renale e il rachitismo, che lo costringono a camminare con l’ausilio di una stampella.

Il Piccolo Tim è ovviamente un personaggio letterario, ma sul finire dell’Ottocento, e ancora fino alla metà del Novecento,  il rachitismo e le malattie da carenza nutrizionale erano una triste normalità in tutt’Europa.

Spesso siamo portati a pensare ai piatti della tradizione contadina, come prelibatezze luculliane, le cui ricette  sono gelosamente tramandate da madre in figlia, per deliziare il palato con minestre ricche e stufati prelibati: la realtà è un’altra.

Se potessimo mai condurre uno studio sulle abitudini alimentari dell’Italia da metà Ottocento, fino al dopoguerra ci meraviglieremmo di come la dieta, soprattutto in alcune regioni, fosse piatta e nutrizionalmente monotona, e così tanto povera, che la zuppa era di “legumi” solo sulla carta.



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La denutrizione flagellava indistintamente la popolazione infantile, ma  le situazioni più gravi si registravano nelle zone montuose, sia delle Alpi che dell’Appennino. La maglia nera, spettava al Veneto, dove la polenta di farina di mais, rappresentava il piatto unico per quasi 365 giorni all’anno, innaffiata da litri e litri di vino. Esso era parte integrante della dieta del contadino medio: circa metà delle calorie giornaliere assunte erano apportate dagli alcoolici, iniziando a bere già da giovanissimi, tanto che in alcune zone si diceva che i bambini staccavano la bocca dal seno materno per attaccarla al fiasco.

Le farine lattee erano il preparato principe per fornire ai bambini in fase di svezzamento le calorie necessarie, peccato che la farina lattea Alpe, la prelibatissima farina Nestlè, l’alimento Mellin o quello Glaxo, che faceva crescere i bimbi forti e sani come gli eredi al trono della casata Savoia, costassero, e solo pochi riuscivano a permettersi un alimento del genere per i propri figli. Per tutti gli altri c’era l’olio di fegato di merluzzo, spesso commercializzato sfuso: chiunque avesse voluto acquistarlo doveva portarsi da casa la bottiglia, magari riutilizzandone una che aveva già, come nel caso di uno dei primi flaconi della Magnesia San Pellegrino in foto, “riconvertito” per l’olio di fegato di merluzzo.



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Le ricette tradizionali che conosciamo, sono purtroppo una rielaborazione degli anni Sessanta, quando il benessere economico permise di migliorare la dieta della popolazione, eradicando così le patologie da carenza nutrizionale, la cui unica cura è appunto una dieta varia e ben bilanciata.

La bontà e l’innocenza di del piccolo Tim Cratchit, hanno sicuramente “salvato l’anima” a Ebenezer Scrooge, rendendolo un uomo migliore, più vicino e prodigo nei confronti delle persone in difficoltà, ed in cambio l’aiuto economico alla famiglia Cratchit dato dal vecchio ha fatto sì che il bambino riuscisse a sopravvivere, e a superare il rachitismo, mentre l’acidosi tubulare renale, purtroppo, è una malattia genetica, che obbliga gli  affetti ad assumere cloruro di ammonio per tutta la loro vita. Al momento, come all’epoca di Dickens, non è curabile, ma siccome siamo sotto Natale, il mio augurio da persona di scienza è che un giorno possa esserlo, così tutti i piccoli Tim non dovranno più prendere le medicine.  

Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi



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I Farmaci nella letteratura: I BARBITURICI nella "La Coscienza di Zeno" - Italo Svevo

10/9/2013

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La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sui "BARBITURICI" trattata anche a Svevo in "La coscienza di Zeno"per Deliri Progressivi.
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Guido improvvisamente mi domandò: << Tu che sei chimico, sapresti dirmi se sia più efficace il veronal puro o il veronal al sodio ? >>
Io veramente non sapevo neppure che ci fosse un veronal al sodio. Non si può mica pretendere che un chimico sappia il mondo a mente. Io di chimica so tanto da poter trovare subito nei miei libri qualsiasi informazione e inoltre da poter discutere – come si vide in quel caso – anche delle cose che ignoro. Al sodio?  Ma se era saputo da tutti che le combinazioni al sodio erano quelle che più facilmente si assimilavano. Anzi a proposito del sodio ricordai – e riprodussi più o meno esattamente – un inno a quell’elemento elevato da un mio professore all’unica presentazione a cui avessi assistito. [ …]
Dopo un’esitazione, Guido domandò ancora:
<< Sicchè chi volesse morire dovrebbe prendere il veronal al sodio ?>>
<< Sì >> risposi.
Poi ricordando che ci sono dei casi in cui si può voler simulare un suicidio e non accorgendomi subito  che ricordavo a Guido un episodio spiacevole della sua vita, aggiunsi:
<<E chi non vuol morire deve prendere del veronal puro>>.
Gli studii di Guido sul veronal avrebbero potuto darmi da pensare. Invece io non compresi nulla, preoccupato com’ero dal sodio.


Italo Svevo – La coscienza di Zeno –  Mondadori



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Solitamente si pensa che gli anni d’oro dei barbiturici siano stati gli anni Settanta, ma in realtà il loro rapporto con l’umanità è molto più profondo e torbido, ed affonda le sue radici negli insospettabilissimi primi decenni del Novecento.

Sintetizzati per la prima volta nel 1863 da Adolf von Baeyer e battezzati “barbiturici” in onore di Barbara, la santa festeggiata il giorno 4 di dicembre, data della loro scoperta, già una settimana dopo la loro comparsa furono bellamente dimenticati da tutta la comunità scientifica.
Sul finire dell’Ottocento, infatti, l’utilizzo di morfina ed oppio non era regolamentato, e dal momento che queste molecole ben più potenti erano disponibili sul mercato, non vi era modo per i barbiturici di esistere.
Con il nuovo secolo però, si iniziò a regolarizzare il commercio di sostanze che potevano dare luogo a dipendenze, e così anche il mercato si dovette adattare, iniziando a ricercare molecole che potessero dare luogo agli stessi effetti, ma che non fossero alcaloidi.

Durante questa “corsa al sonnifero perfetto”, vennero riesumate anche le ricerche di von Baeyer: nel 1902 Emil Fisher e Joseph von Mering, testarono la maloniurea su un gruppo di cani notando con quanta facilità questi cadessero in un sonno profondo. Un anno dopo la molecola era già in commercio come Veronal, il farmaco che utilizzerà il personaggio di Guido per simulare un suicidio che però, causa una dose errata, gli sarà fatale.



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Ma non esisteva solo il Veronal, anzi, con lo sviluppo di nuove tecnologie di sintesi, ben presto, nemmeno lui fu più sufficiente. Nel giro di pochi anni i barbiturici diventarono richiestissimi, poiché riuscivano ad incarnare magnificamente l’ideale del “superfarmaco”, che riusciva a risolvere qualunque disturbo, doloroso o non, con una sola dose, e questa caratteristica fece sì che a volte fossero aggiunti alla composizione anche a sproposito, solo per dare l’idea che l’effetto del farmaco fosse immediato.

Coniuge isterico? Nevrovitamina  4. Bambini irrequieti? Nevrovitamina 4 versione per bambini, specifico per  le turbe dell’infanzia. Ferocissimo mal di testa? Un bell’Optalidon rinforzato ai barbiturici, e se per caso questo non faceva effetto, una bella cucchiaiata di Neurinase, alla dietilmaloniurea rinforzata con valeriana, capace di stendere anche un elefante: tutti farmaci ad oggi impensabili, ma che all’epoca riscuotevano un buon successo di mercato
.


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Insomma, sulla fine degli anni Quaranta sembrava che nulla potesse resistere ai barbiturici, solo un nuovo approccio alla fisiologia umana poté mettere in luce il fatto che questi farmaci risolvevano i disturbi neurologici e del sonno in maniera eccellente, ma  solo temporaneamente. Ciò non sarebbe stato un problema se la maloniurea non desse luogo ad una forte dipendenza, accompagnata da una costante crescita della tolleranza nei confronti del farmaco. Ciò avrebbe portato ad assumere dosi sempre più alte, mettendo così a rischio la vita del paziente.

Finalmente con gli anni Settanta, e l’avvento delle più sicure ed affidabili benzodiazepine, i barbiturici iniziarono a sparire dal mercato, ma non prima di aver mietuto le loro vittime, soprattutto nel mondo dello spettacolo: Ona Munson, Phyllis Haver, Marilyn Monroe, Chester Morris, Annamaria Pierangeli, George Sanders, Rachel Roberts e la cantante italo francese Dalidà, sono solo alcuni dei nomi di personaggi famosi che hanno scelto di lasciare questo mondo servendosi dei barbiturici.

In conclusione, la maloniurea non era una molecola con cui scherzare troppo, efficacissima in ciò che faceva, ma chiedeva in cambio il pagamento di un prezzo molto alto, traducendosi spesso nella distruzione di famiglie e anche dell’individuo stesso.  Poco importava se con o senza sodio.

Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi

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