Sono oramai le 22,00. Alice deve, suo malgrado, andare a letto; domani è venerdì, deve alzarsi presto. “Solo un giorno di scuola, ancora uno.” – pensò tirando su il piumone fino a quasi coprire il volto. – La luna era splendida quella notte e il cielo mostrava tutte le stelle visibili all’occhio umano. La piccola si abbandonò al sonno con una speranza: un sogno che brillasse come quelle stelle, pieno come quella magnifica luna. Uno strano scintillio luminoso, proprio al centro della sua stanza, però la distolse da quell’intento. Alice si sedette e cercò di mettere inutilmente a fuoco quella strana luce; non riusciva a capire o anche solo ad immaginare cosa fosse e la sua fantasia cominciò a volare verso quell’insolita evanescenza, prima ancora della sua manina curiosa. “Forse è un sogno; il sogno luminoso che speravo di fare. Si, è un sogno; il mio sogno.” La piccola balzò dal letto in un battibaleno e si avvicinò, si cauta, ma anche impaziente di toccare con mano la strana informe ospite. Le piccole dita stavano quasi per sfiorarla, mentre le sfiorava già l’idea di possedere qualcosa di unico, di magico, che quella strana creatura, o qualunque cosa lei fosse, cominciò a prendersi gioco di lei balzandole dietro le spalle. Per alcuni minuti fu un rincorrere e saltellare da una parete all’altra della piccola stanza, poi all’improvviso la piccola brillante nebulosa si fermò, proprio dinanzi alla finestra e con uno scatto fulmineo, da essa volò via. Alice si precipitò a guardare dove fosse diretta e la vide allontanarsi verso il bosco. Il desiderio di seguirla fu più forte del timore di uscire di notte e dirigersi verso il bosco buio, da sola. “È il mio sogno, non posso lasciarmelo scappare.” - pensò la piccina calandosi giù per la finestra e aggrappandosi al maestoso rampicante che ricopriva gran parte della facciata della casa. – Corse veloce verso il bosco, senza neppure guardare dove mettesse i piedi e così facendo cadde più volte, ma mai staccò lo sguardo dalla magica luce. D’improvviso si ritrovò in un magnifico giardino; c’erano fiori enormi e alberi strani, profumi che non aveva mai sentito. Tutti i colori, e tutte le sfumature possibili, scendevano come gocce di rugiada su ogni cosa e strane creature pascolavano miti qua e là, senza mostrare timore per la sua presenza. In lontananza si mostrava fiero un castello, uno di quelli che aveva visto disegnati nei libri delle fiabe che solo fino a un paio d’anni prima sua madre le narrava, ma più bello, più luminoso. Alice sorrise felice, ma proprio mentre si proponeva di avvicinarvisi, una voce, quasi un grido, le frenò il passo: “Alice! Alice, sveglia…farai tardi a scuola. Alice!” La voce squillante di Adele s’impose con energica fermezza; non c’era più molto tempo, la piccola doveva alzarsi immediatamente. Una tazza di latte bevuta in gran fretta, senza biscotti per far prima, i denti lavati frettolosamente, una maglietta rosa, un jeans; lo zaino lo aveva preparato la sera prima, obbedendo per sua fortuna alle richieste della mamma e in men che non si dica è già sul vialetto per dirigersi verso la scuola. Ora Alice era rimasta sola con la sua delusione, mentre fiancheggia il bosco; doveva solo arrivare in fondo alla stradina e salire sullo scuolabus, ma oggi il tragitto le pareva in salita, faticoso, interminabile. “Non riesco a capire, sembrava tutto così reale. Era il mio sogno…quella luce…Se davvero, però, era tutto un sogno, allora non è giusto comunque; l’avevo appena cominciato…il castello era lì, c’ero quasi!” La bambina si sentiva defraudata, quasi arrabbiata e triste; molto triste. Lo sguardo cadeva ancora incredulo e perplesso verso il bosco, come a cercare una prova che tutto fosse realmente accaduto, che era solo questione di poche ore e poi sarebbe potuta tornare in quel luogo magico. All’improvviso una strana piccola luce si mise a fare intermittenza tra le fronde degli alberi e il cuore le saltò nel petto per la gioia. “Lo sapevo che non era un sogno…” - Pensò la piccina tra se e sé – In un attimo dimenticò la scuola, il suo dovere e le conseguenze di quella decisione, ma non si fermò a riflettere neppure un attimo, quasi ipnotica, quella luce le aveva rapito la ragione. Si addentrò nel bosco lasciando la strada; i suoi occhi erano fissi verso quell’intermittenza e all’improvviso gli apparve. Era un uomo, con in mano uno strano specchietto; sembrava lo specchio di una principessa, così adorno di pietre sfaccettate. “Il castellano…dev’essere lui…” – pensò Alice – L’uomo le sorrise; il suo sorriso era dolce e infondeva fiducia. “Questo specchio è della principessa Aurora; si erano staccate delle pietre e l’ho portato a riparare. Sto per tornare al castello per restituirglielo, ti piacerebbe vedere un vero castello, come quello delle fiabe…anzi, più bello?” – fu l’invito gentile dell’uomo - “Deve essere il castello che ho veduto questa notte…lo sapevo che non poteva essere solo un sogno.” – pensò la piccola – L’uomo le porse la mano e Alice gli offrì la sua; l’avrebbe portata al castello, avrebbe conosciuto una vera principessa e chissà quante altre meraviglie avrebbe veduto. Questo fu il suo unico pensiero, mentre le felci del sottobosco si richiudevano inesorabili dietro i loro passi. “Alice…Alice…Alice…” Adele l’avrebbe chiamata ancora, urlando il suo nome, l’avrebbe urlato oggi, domani e l’altro giorno ancora; l’avrebbe urlato tutti i giorni a venire, fino a che avrebbe avuto un filo di voce e poi, afona, a gridare per l’eternità sarebbe stato il suo straziato cuore di madre. Alice voleva solo sognare, ma da quel sogno non si sarebbe svegliata mai più. © Rita Veloce
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