La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato <<Un’altra volta>> borbottò Peppone << Voglio andare a casa. Sto poco bene, oggi non ho neanche potuto lavorare. Ho freddo: brividi per tutta la vita>>. <<Brividi? Le solite influenze di stagione. L’unica medicina è un bicchiere di vino. Anzi, ho delle magnifiche compresse di Aspirina: entra>>. Peppone entrò. <<Siediti, intanto io vado a prendere la bottiglia>> disse Don Camillo. Quando tornò, di lì a poco, col vino e i bicchieri, trovò Peppone che si era seduto, ma non si era tolto il pastrano. <<Ho un freddo cane>> spiegò Peppone. <<Preferisco rimanere coperto>>. <<Fai il comodo tuo>>. Porse a Peppone un bicchiere colmo e due pastiglie bianche. <<Manda giù>>. Peppone mandò giù l’Aspirina e ci bevve sopra il vino. Don Camillo uscì un momento e rientrò con una bracciata di legna che cacciò nel camino. <<Una fiammata farà bene anche a me>> spiegò Don Camillo dando fuoco alla legna. Giovannino Guareschi – Don Camillo e Peppone – Rizzoli Insieme alla Magnesia, l’Aspirina è uno di quei farmaci che da fine Ottocento costituisce la “base” delle nostre piccole farmacie casalinghe, stipate nei mobiletti del bagno o nel caso in cui siate particolarmente anticonformisti, nei pensili della cucina. Nonostante la sua semplicità, in quanto lo stesso medicinale altro non è che acido acetil salicilico purissimo, parlare di Aspirina è abbastanza difficile, perché non tutto l’acido acetil salicilico può fregiarsi di questo nome. L’Aspirina, quella Bayer per intenderci, è sul mercato dal 1899, quando Felix Hoffmann ebbe la brillante idea di acetilare l’acido salicilico. Dapprima fu in vendita in bottiglia, disciolta in acqua, la forma moderna, cioè in pastiglia, comparirà solo negli anni Venti. Sì, la possibilità di produrre e stoccare per un lungo periodo questo medicinale dalle proprietà analgesiche, antipiretiche e antinfiammatorie, in un periodo storico che non conosceva con perfezione i meccanismi fisiologici che regolavano la risposta del corpo umano agli insulti patologici, ha sicuramente decretato il successo del farmaco, e con esso l’invidia di tante altre case farmaceutiche italiane che volevano partecipare alla “corsa all’Aspirina”. Infatti in seguito alla sconfitta subita nella Prima Guerra Mondiale, la Bayer aveva perso il brevetto sui suoi prodotti: iniziarono cosi a comparire negli Usa, in Francia e nel Regno Unito, diverse “Aspirine” non-Bayer, costringendo la casa farmaceutica a lunghe trafile legali per riappropriarsi del suo marchio. In Italia ciò non accadde, tanto che ancora oggi l’unica Aspirina con la “A” maiuscola, è un marchio registrato dell’azienda teutonica, ma l’arte di arrangiarsi è decisamente una di quelle caratteristiche che distingue l’Italiano nel Mondo. Non potendo introdurre in commercio preparati con il nome di “Aspirina”, si pensò di formulare comunque i preparati, ma di “battezzarli” in maniera differente: in questo modo nacquero l’Aspirolina Carlo Erba, il Diaforil Maggioni, la Rodina Montecatini, e l’Aspro, concorrente australiano della Bayer, oggi proprietà di quest’ultima. Tornando a Don Camillo e Peppone, sicuramente in molti si saranno stupiti del bizzarro accostamento Aspirina – Lambrusco, ma se rapportato al periodo storico, effettivamente ha un suo perché. All’epoca poco si sapeva delle interazioni dell’alcool etilico con i farmaci, e anzi, spesso si consigliava di assumere il medicinale con un bicchiere di vino o di liquore, in quanto si credeva che esso fosse un ottimo corroborante e coadiuvasse la guarigione. Oggi, invece la moderna fisiologia ha messo in luce che l’uso di alcolici possono interferire con il metabolismo del farmaco stesso, abbreviandone o allungandone l’emivita: nel caso dell’Aspirina, essa se associata all’alcool, amplifica il suo potere narcotico. Insomma, se nella mente di Don Camillo fosse balenata l’idea di sedare Peppone, è dato saperlo solo a Guareschi, di per certo possiamo tutti affermare che l’offerta dell’Aspirina fatta dal prete al suo avversario storico, rimane una delle immagini più belle del Mondo Piccolo, quell’universo in cui, messa da parte la politica, vince sempre il buonsenso e il rispetto. Di Giulia Bovone della Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi.
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La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato “un bambino che sin dalla nascita respira senza averci mai badato non sa quanto sia essenziale alla propria vita l’aria che gli gonfia così dolcemente il petto da non averlo nemmeno notato. E se, durante un accesso febbrile, una convulsione, stesse per soffocare? Nello sforzo disperato del proprio essere è quasi per la sua vita che lotta, è per la sua quiete persa che può ritrovare solo con l’aria, da cui non sapeva di essere inseparabile”. “L’Indifferente” – Marcel Proust Come trapela da queste poche righe tratte da “l’Indifferente”, per tutta la sua vita Marcel Proust visse circondato da medici e farmaci a causa di un attacco d’asma che lo colpì all’età di nove anni, creando in lui uno stato di malattia perenne ai limiti dell’ipocondria, che si ripercosse pesantemente anche nelle sue opere letterarie. Intendiamoci: ammalarsi in giovane età a fine Ottocento era una sventura inimmaginabile, soprattutto negli ambienti borghesi, dove la più piccola patologia per forza di cose si tramutava nel peggior anatema. Nonostante la medicina dell’epoca avesse fatto passi da gigante, concepiva ancora il corpo umano come una serie di ingranaggi delicati, il cui minimo spostamento o scompenso avrebbe segnato permanentemente il fisico e l’anima dello sventurato, ancor peggio se costui era un bambino. Insomma, nel 1880 non si sapeva ancora cosa fosse la difesa immunitaria, quindi l’organismo umano era percepito come “inerme” di fronte alla maggior parte delle patologie, e con la complicità dell’alta mortalità infantile che ha caratterizzato il secolo Decimonono, il povero Marcel si ritrovò ad essere considerato come “con già un piede nella fossa” ancor prima di arrivare ai dieci anni di età. Questo lo spronò verso un grado quasi estremo di ipocondria, creando in lui una sfiducia generale nei confronti dei medici che non riuscivano a curarlo. Infatti, nonostante il padre ed il fratello di Marcel fossero patologi conosciuti e rispettati negli ambienti universitari dell’epoca, lo scrittore vide sempre con sufficienza il mondo dei medici, incapaci di trovare una cura definitiva che lo strappasse a quella condizione. All’epoca del primo attacco d’asma di Proust, erano già presenti sul mercato diversi preparati farmaceutici contro l’asma, molti dei quali decisamente inusuali. Sulla fine dell’Ottocento, infatti comparvero le prime sigarette contro l’asma, le famose Sigarette d’Exibard, conosciute in Italia anche come Sigarette d’Abissinia, le carte fumigatorie azotate o allo stramonio, e con lo sviluppo delle tecniche legate agli aerosol anche i primi preparati per inalazioni come l’Antiasmatico Maffioli. Ovviamente va da sé che alcuni farmaci non fossero proprio il massimo dell’efficacia: sigarette e carte fumigatorie spesso contenevano sostanze che alla lunga potevano essere irritanti oppure peggiorare dei quadri clinici già pre-esistenti, come nel caso di asma legato ad enfisema e alcuni preparati per inalazioni avevano il pregio di possedere formulazioni al limite del fantastico e di dubbia utilità nel trattamento della patologia. La vera svolta nel trattamento dell’asma si ebbe solo nel 1949, quando Edward Calvin Kendall annunciò la scoperta dell’ormone cortisone e del suo ruolo nel sopprimere i sintomi legati alla patologia allergica, facendo diventare questa molecola per cui ricevette il premio Nobel, il farmaco d’elezione nel trattamento gli episodi asmatici. Da allora l’asma divenne una patologia sempre più trattabile, complice anche l’invenzione dell’inalatore portatile, anche se, come potete vedere in foto, i primi modelli non potevano certo fregiarsi di questo titolo. Anche se Proust teoricamente all’età di 79 anni avrebbe potuto vedere la fine della battaglia del genere umano contro l’asma, morì per una bronchite in quanto, dal momento che "Le malattie naturali guariscono, ma mai quelle create dalla medicina, perché essa ignora il segreto della guarigione", rifiutò qualunque tipo di assistenza medica, inclusa quella del fratello Robert, soccombendo alla patologia definitivamente il 18 novembre del 1922. Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sulle abitudini alimentari di fine '800 e le malattie derivate da carenze nutrizionali. - Un allegro Natale a tutti noi, cari miei. Dio ci benedica! - Tutta la famiglia ripetè l'augurio. - Dio benedica tutti quanti siamo! - disse, ultimo di tutti, Tiny Tim. Sedeva sul suo sgabelletto, proprio accosto al padre. Bob gli teneva la manina scarna per meglio fargli sentire il suo affetto, e se lo voleva sempre vicino, e quasi avea paura di vederselo portato via. - Spirito, - disse Scrooge con insolita sollecitudine, - dimmi se Tiny Tim vivrà. - Vedo un posto vuoto - rispose lo Spirito, - all'angolo del povero focolare, e una gruccetta gelosamente custodita. Se queste ombre non muterà l'avvenire, il fanciullo morrà. - No, no, - esclamò Scrooge. - Oh no, buono Spirito! dimmi che sarà risparmiato. - Se queste ombre non muterà l'avvenire, nessun altro della mia stirpe, - rispose lo Spirito, - lo troverà qui. Che monta? S'egli muore, tanto meglio, perché di tanto scemerà il soverchio della popolazione. - Scrooge abbassò il capo, udendo le proprie parole citate dallo Spirito, e si accasciò sotto il pentimento e il dolore. Charles Dickens – Cantico di Natale – Liberliber Tra i molti bambini letterari, “figli” di Charles Dickens, il piccolo Tim Cratchit è sicuramente uno tra i più conosciuti a livello mondiale. Viene descritto come un bimbo, gracile, paziente, dall’indole forse un po’ più matura e pensosa per la sua età. Fin dalla sua nascita ha convissuto con l’acidosi tubulare renale e il rachitismo, che lo costringono a camminare con l’ausilio di una stampella. Il Piccolo Tim è ovviamente un personaggio letterario, ma sul finire dell’Ottocento, e ancora fino alla metà del Novecento, il rachitismo e le malattie da carenza nutrizionale erano una triste normalità in tutt’Europa. Spesso siamo portati a pensare ai piatti della tradizione contadina, come prelibatezze luculliane, le cui ricette sono gelosamente tramandate da madre in figlia, per deliziare il palato con minestre ricche e stufati prelibati: la realtà è un’altra. Se potessimo mai condurre uno studio sulle abitudini alimentari dell’Italia da metà Ottocento, fino al dopoguerra ci meraviglieremmo di come la dieta, soprattutto in alcune regioni, fosse piatta e nutrizionalmente monotona, e così tanto povera, che la zuppa era di “legumi” solo sulla carta. La denutrizione flagellava indistintamente la popolazione infantile, ma le situazioni più gravi si registravano nelle zone montuose, sia delle Alpi che dell’Appennino. La maglia nera, spettava al Veneto, dove la polenta di farina di mais, rappresentava il piatto unico per quasi 365 giorni all’anno, innaffiata da litri e litri di vino. Esso era parte integrante della dieta del contadino medio: circa metà delle calorie giornaliere assunte erano apportate dagli alcoolici, iniziando a bere già da giovanissimi, tanto che in alcune zone si diceva che i bambini staccavano la bocca dal seno materno per attaccarla al fiasco. Le farine lattee erano il preparato principe per fornire ai bambini in fase di svezzamento le calorie necessarie, peccato che la farina lattea Alpe, la prelibatissima farina Nestlè, l’alimento Mellin o quello Glaxo, che faceva crescere i bimbi forti e sani come gli eredi al trono della casata Savoia, costassero, e solo pochi riuscivano a permettersi un alimento del genere per i propri figli. Per tutti gli altri c’era l’olio di fegato di merluzzo, spesso commercializzato sfuso: chiunque avesse voluto acquistarlo doveva portarsi da casa la bottiglia, magari riutilizzandone una che aveva già, come nel caso di uno dei primi flaconi della Magnesia San Pellegrino in foto, “riconvertito” per l’olio di fegato di merluzzo. Le ricette tradizionali che conosciamo, sono purtroppo una rielaborazione degli anni Sessanta, quando il benessere economico permise di migliorare la dieta della popolazione, eradicando così le patologie da carenza nutrizionale, la cui unica cura è appunto una dieta varia e ben bilanciata. La bontà e l’innocenza di del piccolo Tim Cratchit, hanno sicuramente “salvato l’anima” a Ebenezer Scrooge, rendendolo un uomo migliore, più vicino e prodigo nei confronti delle persone in difficoltà, ed in cambio l’aiuto economico alla famiglia Cratchit dato dal vecchio ha fatto sì che il bambino riuscisse a sopravvivere, e a superare il rachitismo, mentre l’acidosi tubulare renale, purtroppo, è una malattia genetica, che obbliga gli affetti ad assumere cloruro di ammonio per tutta la loro vita. Al momento, come all’epoca di Dickens, non è curabile, ma siccome siamo sotto Natale, il mio augurio da persona di scienza è che un giorno possa esserlo, così tutti i piccoli Tim non dovranno più prendere le medicine. Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi I Farmaci nella letteratura: i ricostituenti all'Arsenico in Madame Bovary - Gustave Flaubert11/20/2013 La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sui i ricostituenti all'ARSENICO narrata da Gustave Flaubert in MADAME BOVARY. Dopo la morte di un essere umano, si sprigiona sempre un senso di stupore tanto è difficile capacitarsi di questo sopravvenire del nulla e rassegnarsi a credervi. Quando Charles si accorse dell'immobilità di Emma, si gettò su di lei gridando: «Addio! Addio!» Homais e Canivet lo trascinarono fuori della stanza. «Si calmi!» «Sì,» diceva lui dibattendosi «sarò ragionevole, non farò niente di male. Ma lasciatemi! Voglio vederla! È mia moglie!» E piangeva. «Pianga,» disse il farmacista «si sfoghi, questo l'aiuterà!» Divenuto più debole di un fanciullo, Charles si lasciò condurre dabbasso, nel salotto, e il signor Homais ben presto se ne andò a casa. Sulla piazza gli si avvicinò il cieco che si era trascinato fino a Yonville fiducioso nella pomata antiflogistica, domandando a ogni passante dove abitasse lo speziale. «Andiamo bene! Come se non avessi nient'altro da fare! Peggio per te, torna più tardi!» E Homais entrò precipitosamente in farmacia. Doveva scrivere due lettere, preparare una pozione calmante per Bovary, studiare una bugia per nascondere l'avvelenamento e redigere un articolo per il Faro di Rouen, senza contare le persone che lo aspettavano per avere notizie; quando tutti gli abitanti di Yonville ebbero ascoltato la storia dell'arsenico che la signora Bovary aveva scambiato per zucchero, preparando una crema alla vaniglia, Homais tornò di nuovo da Bovary. Gustave Flaubert – Madame Bovary – Fratelli Fabbri Editore L’arsenico è sempre stato considerato il “veleno” per eccellenza, responsabile di centinaia di morti di personaggi reali e letterari, ma pochi sanno che l’elemento chimico in questione, ha vissuto anche un periodo di “rinascita” in cui fu impiegato come ricostituente, che ovviamente non ricostituiva affatto. Dopo una breve comparsa nel campo alimentare come additivo per “tagliare” lo zucchero, che nel 1858 causò il Bradford Sweet Poisoning (l’avvelenamento da caramelle di Bradford), dove rimasero intossicate più di 200 persone, l’arsenico giustamente divenne un prodotto da farmacia, e come tale attirò l’attenzione di tanti farmacisti, complice anche la “riscoperta” da parte degli Inglesi della medicina tradizionale cinese, che vedeva nell’arsenico, un tonico eccezionale. Arrivarono così sugli scaffali di metà Ottocento il Liquore di Fowler, la Soluzione di Pearson e molti altri beveroni che prevedevano tra i loro ingredienti arsenico puro o sotto forma di sali organici, meno tossici ma non di molto. Il vero “via libera” alle cure a base di arsenico puro fu dato nel 1910, quando comparve il Salvarsan, il primo vero ritrovato farmaceutico che riusciva in qualche modo a contrastare la sifilide: da quel momento piccole quantità di arsenico furono aggiunte a qualsiasi ricostituente degno di questo nome. Nell’Italia della prima metà del Novecento erano disponibili centinaia di formulazioni di questo genere, sia industriali che artigianali, tra cui spiccavano però dei preparati più conosciuti, come lo Iodarsolo Baldacci, in flacone o in fiale per sifilitici, l’Eutrofina, perché per crescere dei bambini sani è forti l’arsenico è il non plus ultra, e il Tonico Bayer, bizzarro discendente del Vin Mariani, che tra i suoi ingredienti annoverava, sali organici di arsenico, stricnina, vino liquoroso, acido benzoico e vitamina C, che reagiva con la molecola precedente per produrre piccole quantità di benzene, molecola nota per il suo prezzo in costante aumento e per la sua natura di cancerogeno. Fortunatamente, la scoperta degli antibiotici permise di combattere in maniera più sicura e meno tossica la sifilide, e i primi studi tossicologici misero in luce che forse le proprietà ricostituenti dell’arsenico e dei suoi sali, forse non sono mai esistite. Con il crollo di questa convinzione, anche il mercato dovette celermente adattarsi: già dai primi anni Cinquanta l’arsenico iniziò a scomparire, per lasciare spazio ai mix multivitaminici come il Protovit 9 della Roche ed il celeberrimo Cebion Bracco. Riconosco infine che la notizia dell’uso diffuso di arsenico nei farmaci della prima metà del Novecento, possa aver turbato parecchi di voi, facendo crescere la diffidenza verso i prodotti delle case farmaceutiche moderne, ma tenete ben presente che a differenza di Monsieur Homais, il quale doveva tenere ben segreto il fatto che la sua negligenza nel custodire l’arsenico sia stata la causa della morte di Emma Bovary, le industrie farmaceutiche dell’epoca non avevano i mezzi diagnostici per valutare l’impatto a lungo termine dell’impiego dell’arsenico e dei suoi sali. Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sui "BARBITURICI" trattata anche a Svevo in "La coscienza di Zeno"per Deliri Progressivi. Guido improvvisamente mi domandò: << Tu che sei chimico, sapresti dirmi se sia più efficace il veronal puro o il veronal al sodio ? >> Io veramente non sapevo neppure che ci fosse un veronal al sodio. Non si può mica pretendere che un chimico sappia il mondo a mente. Io di chimica so tanto da poter trovare subito nei miei libri qualsiasi informazione e inoltre da poter discutere – come si vide in quel caso – anche delle cose che ignoro. Al sodio? Ma se era saputo da tutti che le combinazioni al sodio erano quelle che più facilmente si assimilavano. Anzi a proposito del sodio ricordai – e riprodussi più o meno esattamente – un inno a quell’elemento elevato da un mio professore all’unica presentazione a cui avessi assistito. [ …] Dopo un’esitazione, Guido domandò ancora: << Sicchè chi volesse morire dovrebbe prendere il veronal al sodio ?>> << Sì >> risposi. Poi ricordando che ci sono dei casi in cui si può voler simulare un suicidio e non accorgendomi subito che ricordavo a Guido un episodio spiacevole della sua vita, aggiunsi: <<E chi non vuol morire deve prendere del veronal puro>>. Gli studii di Guido sul veronal avrebbero potuto darmi da pensare. Invece io non compresi nulla, preoccupato com’ero dal sodio. Italo Svevo – La coscienza di Zeno – Mondadori Solitamente si pensa che gli anni d’oro dei barbiturici siano stati gli anni Settanta, ma in realtà il loro rapporto con l’umanità è molto più profondo e torbido, ed affonda le sue radici negli insospettabilissimi primi decenni del Novecento. Sintetizzati per la prima volta nel 1863 da Adolf von Baeyer e battezzati “barbiturici” in onore di Barbara, la santa festeggiata il giorno 4 di dicembre, data della loro scoperta, già una settimana dopo la loro comparsa furono bellamente dimenticati da tutta la comunità scientifica. Sul finire dell’Ottocento, infatti, l’utilizzo di morfina ed oppio non era regolamentato, e dal momento che queste molecole ben più potenti erano disponibili sul mercato, non vi era modo per i barbiturici di esistere. Con il nuovo secolo però, si iniziò a regolarizzare il commercio di sostanze che potevano dare luogo a dipendenze, e così anche il mercato si dovette adattare, iniziando a ricercare molecole che potessero dare luogo agli stessi effetti, ma che non fossero alcaloidi. Durante questa “corsa al sonnifero perfetto”, vennero riesumate anche le ricerche di von Baeyer: nel 1902 Emil Fisher e Joseph von Mering, testarono la maloniurea su un gruppo di cani notando con quanta facilità questi cadessero in un sonno profondo. Un anno dopo la molecola era già in commercio come Veronal, il farmaco che utilizzerà il personaggio di Guido per simulare un suicidio che però, causa una dose errata, gli sarà fatale. Ma non esisteva solo il Veronal, anzi, con lo sviluppo di nuove tecnologie di sintesi, ben presto, nemmeno lui fu più sufficiente. Nel giro di pochi anni i barbiturici diventarono richiestissimi, poiché riuscivano ad incarnare magnificamente l’ideale del “superfarmaco”, che riusciva a risolvere qualunque disturbo, doloroso o non, con una sola dose, e questa caratteristica fece sì che a volte fossero aggiunti alla composizione anche a sproposito, solo per dare l’idea che l’effetto del farmaco fosse immediato. Coniuge isterico? Nevrovitamina 4. Bambini irrequieti? Nevrovitamina 4 versione per bambini, specifico per le turbe dell’infanzia. Ferocissimo mal di testa? Un bell’Optalidon rinforzato ai barbiturici, e se per caso questo non faceva effetto, una bella cucchiaiata di Neurinase, alla dietilmaloniurea rinforzata con valeriana, capace di stendere anche un elefante: tutti farmaci ad oggi impensabili, ma che all’epoca riscuotevano un buon successo di mercato. Insomma, sulla fine degli anni Quaranta sembrava che nulla potesse resistere ai barbiturici, solo un nuovo approccio alla fisiologia umana poté mettere in luce il fatto che questi farmaci risolvevano i disturbi neurologici e del sonno in maniera eccellente, ma solo temporaneamente. Ciò non sarebbe stato un problema se la maloniurea non desse luogo ad una forte dipendenza, accompagnata da una costante crescita della tolleranza nei confronti del farmaco. Ciò avrebbe portato ad assumere dosi sempre più alte, mettendo così a rischio la vita del paziente. Finalmente con gli anni Settanta, e l’avvento delle più sicure ed affidabili benzodiazepine, i barbiturici iniziarono a sparire dal mercato, ma non prima di aver mietuto le loro vittime, soprattutto nel mondo dello spettacolo: Ona Munson, Phyllis Haver, Marilyn Monroe, Chester Morris, Annamaria Pierangeli, George Sanders, Rachel Roberts e la cantante italo francese Dalidà, sono solo alcuni dei nomi di personaggi famosi che hanno scelto di lasciare questo mondo servendosi dei barbiturici. In conclusione, la maloniurea non era una molecola con cui scherzare troppo, efficacissima in ciò che faceva, ma chiedeva in cambio il pagamento di un prezzo molto alto, traducendosi spesso nella distruzione di famiglie e anche dell’individuo stesso. Poco importava se con o senza sodio. Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo su "“Sal mirabilis” in gergo la "purga" trattata anche a Collodi in "Pinocchio"per Deliri Progressivi. Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchiere d’acqua, e porgendolo al burattino, gli disse amorosamente: “Bevila, e in pochi giorni sarai guarito”. Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po’ la bocca, e poi domandò con voce di piagnisteo: “ E’ dolce o amara?”. “E’ amara ma ti farà bene” “Se è amara non la voglio” “Da retta a me, bevila” “A me l’amaro non mi piace” “Bevila, e quando l’avrai bevuta , ti darò una pallina di zucchero, per rifarti la bocca” Carlo Collodi – Le avventure di Pinocchio – Arnoldo Mondadori – Cap XVII Le poche righe riportate sopra rappresentano uno dei piagnistei più famosi di tutta la letteratura italiana per l’infanzia, con protagonista il burattino Pinocchio, che inventa tutte le scuse possibili per non bere la medicina proposta con tanto amore e pazienza dalla Fata Turchina. Il problema di Pinocchio è stato comune a tutti i bimbi di fine Ottocento: il solfato di soda ( la polverina bianca in questione) è uno dei preparati galenici più disgustosi che mai siano comparsi in commercio, eppure, per molto tempo, questo sale è stato la “purga” più in voga nel Vecchio Continente. Conosciuto come “Sal mirabilis” o “Sale di Glauber”, dal cognome del farmacista tedesco che per primo lo mise in commercio nella prima metà del Seicento, ha “purificato il sangue” a milioni di bambini, anche quando non era necessario. Il povero Pinocchio, infatti, ha avuto la sfortuna di “vivere” in un secolo dove le conoscenze pediatriche erano decisamente approssimative, in cui addirittura non si credeva che il dolore provenisse dall’organo o dalla parte del corpo malata. Se a noi moderni questa concezione fa sorridere, perché ormai il binomio organo malato –dolore è stato comprovato da innumerevoli studi, nell’Ottocento sarebbe stato normalissimo prescrivere un lassativo in caso di mal di testa, febbre, bronchite o ancora peggio per una feroce dissenteria. Era idea dell’epoca che la purga avrebbe aiutato a purificare il sangue, ristabilendo così quell’”equilibrio” la cui rottura aveva causato la malattia, restituendo la salute al pupo. L’antica teoria degli umori, infatti, non ci ha mai lasciato completamente: nei secoli si è trasformata ed è mutata con la scienza medica, fino agli anni Venti / Trenta, quando nuove scoperte nel campo della fisiologia umana e l’accettazione che esistono patologie infettive causate dai batteri, hanno permesso il superamento di questa fantasiosa teoria che aveva ridotto i farmaci pediatrici a due classi. Se il bambino soffriva di avitaminosi di qualunque tipo, un bel cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, per tutto il resto un purgante. La prescrizione era semplice, il vero problema era far assumere la medicina agli sventurati bambini, i quali, come Pinocchio, si accorgevano che forse non era quella grandissima idea, iniziando battaglie furiose a colpi di piagnistei e zollette di zucchero. Fu ovvio a questo punto che anche le nascenti case farmaceutiche decisero di muoversi per creare la “purga perfetta”, non solo efficacissima, ma che fosse così deliziosa e gustosa che assumerla fosse una gioia per i bambini. Nacquero così nei primi anni del Novecento le Fructine Vichy, al goloso sapore di arancio, i cioccolatini lassativi Kinglax, il mitico Purgante Aquila, l’antesignano “birichino” del Ciobar, e l’indimenticabile Dolce Euchessina, sommo premio e massima aspirazione del bambino “Buono”. Ma i lassativi non interessavano solo le mamme apprensive, anche le signorine degli anni Venti, che per ottenere il tanto agognato vitino di vespa come le star del grande schermo, seguivano diete assurde che prevedevano l’impiego di questi farmaci. Una delle così definite diete più tristemente conosciute è quella del sedano: dodici gambi di questa “appetitosa” verdura a pasto accompagnati da un bicchiere di latte e da tre lassativi differenti. Nella prima metà del Novecento è incredibile del numero di purganti in commercio, eppure la maggior parte nascondeva un terribile segreto: erano a base di fenolftaleina. Studi degli anni Novanta, infatti, hanno dimostrato che la molecola, oltre ad essere tossica per l’organismo umano, era anche cancerogena. Questa scoperta fu alla base di una tra le più grandi “mattanze galeniche” italiane: in una decade scomparvero farmaci come il Confetto Falqui, il Verecolene, il Lassativo Giuliani e moltissimi altri, quasi dimezzando il mercato esistente, e contribuendo ad assestare un duro colpo alle poche industrie farmaceutiche della penisola che erano riuscite a superare indenni la crisi degli anni Settanta. Insomma, Pinocchio, a posteriori, possiamo affermare senza ombra di dubbio che avevi ragione, prendere una purga per curare un febbrone, non è l’idea più geniale al Mondo, e forse eri più medico tu, che per curare il babbo malato gli portavi un bicchiere di latte al giorno, piuttosto che la Fata Turchina: chissà cosa gli avrebbe prescritto quella donna! Giulia Bovone del blog La Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi per altre scatole e curiosità: http://blog.libero.it/lfde/view.php?reset=1&id=lfde La Farmacia d'Epoca è un blog dedicato al collezionismo di vecchie scatole di latta di medicinali curato da Giulia Bovone. Dal momento che le informazioni su questi oggetti sono piuttosto rare, Giulia ha scritto un articolo sui "superfarmaci" per Deliri Progressivi. Tanti ci sono ancora mentre altri ci hanno lasciato, alcuni sono frutto di decenni di ricerca, altri invece sono figli di un colpo di fortuna, qualcuno ha cambiato in meglio la vita di molti, qualcun altro invece era disastrosamente inefficace: di cosa sto parlando? Ma di farmaci ovviamente! Sembra strano che una categoria di prodotti così “comuni” e forse anche un po’ odiati (soprattutto dai bambini!), possano essere qualcosa di più che semplici vettori per la guarigione dalle malattie: i farmaci sono storia. Le piccole scatole di cartone, i flaconi di vetro, le scatole di latta dei vecchi farmaci ci raccontano com’era il rapporto tra gli Italiani e la salute, di cosa si ammalavano, cosa utilizzavano per curarsi, cosa prescrivevano i medici, e soprattutto se alla fine guarivano. Il Novecento, infatti è stato un secolo in cui la farmacia ha compiuto passi da gigante, passando da farmaci e tecniche mediche ispirate all’Ottocento, che hanno perdurato fino agli anni Trenta, al “superfarmaco” degli anni Cinquanta – Sessanta, fino alla farmacia moderna, basata su dosi ridotte meno aggressive per l’organismo. Ma non ci si può limitare solo a quello, il rapporto tra gli Italiani e il farmaco è ancora più profondo, tanto da “rompere” la schematicità della storia per diventare un vero e proprio ricordo, legato indissolubilmente alla loro memoria. Il Rim, lo Streptosil, il Veramon, sono tutti nomi ad oggi dimenticati, che per molti invece ricordano l’infanzia o addirittura una persona: il nonno e le Pastiglie Bertelli, la zia che prendeva solo ed esclusivamente il Saridon e quelle tre confezioni di Formitrol memento di quella terribile tonsillite alla beata età di dieci anni. Tutti questi bei ricordi, ovviamente fanno sorgere un dubbio: perché tante delle “vecchie glorie” della farmacia italiana se ne sono andate? Il Formitrol è stato sicuramente uno dei farmaci più venduti ed apprezzati degli anni Cinquanta / Sessanta, con i suoi 2 cg di formaldeide era in grado di sconfiggere i mal di gola più terribili. Peccato che questa molecolina si sia poi dimostrata cancerogena nonché mutagena. Stessa fu la sorte del Rim, il lassativo più amato dai bambini: sotto forma di cubettini di marmellata era una ghiottoneria più che un farmaco, il che molte volte ha creato degli spiacevoli “incidenti di percorso” causati dalla troppa golosità. Ovviamente la marmellata da sé non bastava a fornire il desiderato effetto lassativo, e allora era necessario affidarsi alla fenolftaleina, che purtroppo anche lei bene non faceva. Infatti, quando negli anni Ottanta la molecola fu ritirata dal mercato, fu un brutto colpo per l’industria del lassativo italiano: più della metà dei farmaci dell’epoca erano a base di fenolftaleina. Lo Streptosil, insieme al cerotto Leucoplasto è un’icona della gioventù dalle ginocchia sbucciate, quanta streptomicina è stata usata dalle mamme per medicare i pargoli sempre per terra! Questo farmaco fu così tanto venduto e diffuso che ne nacquero delle diverse varianti anche per gli allergici ai sulfamidici. Oggi esiste ancora, ma con una diversa formulazione: insomma dello Streptosil originale conserva solo il nome. Già dai primi anni del Novecento, il Veramon era un’istituzione in caso di mal di denti, esattamente come lo era il Saridon per il mal di testa o i dolori mestruali. Peccato che il primo contenesse un derivato di barbiturici e il secondo un potente sedativo: per forza che funzionavano! Il nonno, invece, che ci teneva a curarsi ma solo in maniera naturale, per la sua tosse prendeva solo le Pastiglie Bertelli, all’estratto di Lactuca virosa, parente della comune lattuga da tavola, contenente alti tassi di lattucina, molecola che agisce a livello del sistema nervoso centrale per sedare la tosse, indurre sonnolenza e se sovradosata anche allucinazioni. Sì, la farmacia del Novecento riserva una grande quantità di sorprese, e se per caso vi foste arrabbiati a morte con le industrie farmaceutiche, vi fermo prima: quando questi farmaci furono ideati, ovvero nei primi anni del Novecento, non c’erano le conoscenze metaboliche e fisiologiche di oggi, perciò non si poteva sapere che questi medicinali avessero delle controindicazioni, e man mano che le nuove tecnologie si sono sviluppate, ecco che i nostri cari farmaci furono indagati a fondo, e nel caso in cui non fossero stati idonei, riveduti e corretti. Il mio lavoro, che svolgo tramite il blog La Farmacia d’Epoca è quello di conservare la memoria storica di questi oggetti, affinchè anche tra cent’ anni si sappia che Paneraj non è solo una marca di orologi, che Sapol Mani non è soltanto un calciatore togolese, che Solarson non è unicamente una ditta di impianti fotovoltaici e che di Carlo Erba c’è anche il pittore. Giulia Bovone del blog la Farmacia d’Epoca per Deliri Progressivi per altre scatole e curiosità: http://blog.libero.it/lfde/view.php?reset=1&id=lfde |
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