La musica è terapia! Ne sono convinto e tutto il mio immaginario ruota attorno alla convinzione che “la musica può fare” .
Come dice la canzone di Max Gazzè : “Salvarti sull'orlo del precipizio, quello che la musica può fare”.
Credo sia la più bella forma di riabilitazione
che mi concedo quando mi ritrovo a fare pace con me stesso.
Intervista a Mizio Vilardi a cura di Dulcinea Annamaria Pecoraro

In passato forse mi sono messo in discussione più come frontman, nelle diverse formazioni mi limitavo a cantare mentre la chitarra era uno strumento che mi risultava utile nella composizione.
Negli ultimi anni invece il rapporto è decisamente cambiato, la chitarra è diventata la mia coperta di Linus e trovo esaltante suonare in contesti jam
o comunque accompagnare voci che ritengo interessanti, partecipare direttamente anche alla fase di arrangiamento e registrazione dei miei brani e non solo.
2. Pensi che la musica possa essere terapeutica?
Assolutamente, la musica è terapia! Ne sono convinto perché ho una sorella con un passato da musico-terapeuta e tutto il mio immaginario ruota attorno alla convinzione che “la musica possa fare”, come dice la canzone di Max Gazze : “Salvarti sull'orlo del precipizio, quello che la musica può fare”.
Credo sia la più bella forma di riabilitazione che mi concedo, quando mi ritrovo a fare pace con me stesso.
3. A cosa ti ispiri maggiormente nella composizione delle tue canzoni?
Mi attrae l’idea di scrivere il mio sentire, quello che mi circonda e che mi coinvolge, dalla scelta di una partenza alla voglia del ritorno.
Il caleidoscopio degli amori, degli affetti che vivo ed ho vissuto e quelli ancora da vivere, il tutto riunito tra note e parole che se lette bene sono la sintesi migliore di quello che sono.
Scrivo per me e mi lascio prendere così come viene il tutto; è accaduto in “Flow” ed in tanti altri momenti, spero che questo cerchio non si interrompa mai, forse se dovessi fare quello che faccio in maniera conscia non scriverei già da tempo.
4. "Flow", con il suo titolo e ritonello in inglese, pur avendo la strofa cantata in italiano, è per caso un preludio a canzoni in lingua inglese oppure come mai questa scelta di utilizzare una seconda lingua?
La musica ha di suo un linguaggio universale, le parole invece ne segnano i contorni, approfondiscono e raccontano quegli spazi che in musica si creano.
Amo scrivere in italiano, è la mia lingua ed è quello che istintivamente faccio da anni, ma non mi precludo la possibilità di utilizzare un'altra lingua che amo: l'inglese.
L'idea di mescolare ogni tanto italiano/inglese dà una percezione di due diversi piani semantici che si affiancano e si completano: è proprio quello che è successo in "Flow".
Ultimamente ho scritto una canzone solo in inglese, per arrivare ad una persona che altrimenti non capirebbe l'italiano.
La scelta quindi credo dipenda anche da esigenze comunicative. Un giorno vorrei cantare in dialetto, prevedere un repertorio che riscopra parole e suoni della mia terra.
5) Pensi che in Italia ci sia spazio per proposte musicali o sei attratto dal mercato estero?
Diciamo che non penso proprio all’idea di mercato, vivo la musica in una dimensione molto intima e francamente poco mi interessa se ci sia uno spazio “istituzionale” per fare musica; i concerti più belli che ricordo sono in spiaggia, l’anno scorso, tra persone che non conoscevo ma che dopo un minuto e mezzo di canzone, il tempo di una strofa e ritornello, sentivo già vicino a me.
Penso che in Italia piccole oasi in crescita per proposte musicali slegate da pure logiche di mercato ci siano eccome, tocca a noi anche come singoli ascoltatori essere in grado di promuoverle e tutelarle.
Sono attratto dall’idea di suonare all’estero, la metto nella mia lista dei desideri, facciamo anche che nel mio piccolo mi impegno per realizzare la cosa.
6) Ami più scrivere, cantare o suonare?
Amo scrivere, cantare e suonare! Tre cose che si muovono in equilibrio.
Ci sono momenti nel quale scrivo tanto, suono meno e non canto come vorrei per giorni, altri dove mi concentro sulla voce e non faccio altro che cantare dalla mattina alla sera.
Il tutto per raggiungere la sintesi di quello che sono quando suono.
7) Cosa pensi dei Talent?
Dopo anni di talent non mi sono fatto ancora un'idea univoca al riguardo; riconosco la qualità di molti partecipanti ma se c’è una cosa che non sopporto è la spettacolarizzazione della musica o meglio il “chiacchiericcio” che si crea intorno, non è musica, appunto, ma solo... rumore.
Io continuo a preferire le retrovie, a scoprire la musica dal suo interno evitando di considerare gli artisti dei prodotti pre-confezionati, lasciarsi stupire dalla bellezza di una canzone vuol dire anche dare le dimissioni da un approccio fin troppo commerciale nell’ascolto della musica.
8) Se potessi scegliere una collaborazione artistica importante, con chi vorresti lavorare?
Siccome la scelta è fin troppo difficile ed altamente utopica facciamo che mi prendo il lusso di elencare la mia scelta per “territorialità”.
In Puglia: i Radiodervish, gruppo world music che adoro per poetica e musicalità.
In Italia: Elisa, la voce che preferisco di tutto il panorama italiano.
All’estero: Justin Vernon alias Bon Iver, ed Eddie Vedder, cantante dei Pearl Jam, ma qui stiamo sognando a livelli stratosferici.
9) Progetti per il futuro?
Sono una persona estremamente disordinata e per me mettere ordine ai progetti è un'impresa!
Voglio sicuramente continuare a fare quello che mi anima e riuscirci al meglio.
Vorrei ampliare la mia rete di collaborazioni, ricercare una dimensione live che preveda anche altri elementi e pubblicare un mio Ep entro la fine di quest’anno come frutto appunto di un percorso che non è prettamente individuale, “la felicità è tale solo se condivisa e la musica è condivisione”.
Dulcinea Annamaria Pecoraro