Gli Yes hanno fatto la storia del prog rock mondiale, anche senza avere mai avuto più di tanto l'attenzione dei media.
A Firenze, abbiamo vissuto una serata splendida sul palco: Steve Howe (chitarra); Alan White (batteria); Geoff Downes (tastiere); Jon Davison (voce); Billy Sherwood (basso) ovvero gli Yes di oggi, che hanno scaldato a dovere l'Obihall fiorentino. Una scaletta ben definita, in quanto questo tour (che sta riscuotendo un ottimo numero di presenze agli show), è nato per suonare dal vivo due album della loro discografia "Fragile" del 1971 e "Drama" del 1980.
I due album sono stati eseguiti come è il trend odierno, con le canzoni che rispettano la linea del vinile.
Il fatto che non ci sia la sorpresa ho sempre pensato che fosse un lato negativo di questi show, ma spesso incontriamo ai concerti gente che riesce perfettamente ad immergersi in questo mare conosciuto di note.
La serata inizia con l'album "Drama", disco che al suo interno nasconde svariate perle, tra queste: "Does it really happen", oltre a "Machine Messiah" o "Into the lens (I am the camera)".
I presenti apprezzano di buon grado lo spettacolo proposto e rispondono con applausi sinceri al termine di ogni canzone. Gli Yes, anche se per ovvi motivi non in formazione originale, ammaliano, conquistano, scaldano, e soprattutto, permettono al pubblico presente, di entrare a pieno regime nel loro mondo progressive.
La bellezza della musica di questa leggendaria band è tanto così dall'essere vicina alla musica classica.
"Drama" è un album che per molto tempo non è stato apprezzato a dovere, anzi criticato molto dai fans più veri della band, ritenuto a torto: commerciale, forse per la presenza di un singolo come "Does it really happen" che se ascoltato in formato 45 giri, diventa una canzone pop anche se di alta classe, ma ascoltando la versione album, che dura circa dieci minuti, si ha invece la sensazione vera e propria della bellezza del disco.
Colpisce la voce di Jon Davison, molto più simile di quanto si possa sperare a quella del leggendario leader e fondatore della band Jon Anderson.
Dopo un intervallo di venti minuti, si riparte con due sorprese che non fanno parte di "Drama" e neppure di "Fragile", ecco infatti che in sequenza arrivano "Going for the one" e soprattutto "Owner of a lonely heart" estratta dal fortunatissimo "90125" il loro The big one, come viene annunciata da Steve Howe.
A questo punto tutti in piedi come giustamente la band merita e si entra a pieno regime di nuovo nel mondo prog degli Yes con la seconda parte dello show e l'esecuzine dell'album "Fragile", sicuramente molto più amato di "Drama". Si comincia con Steve Howe e la sua acustica e da lì è il tripudio; gli spettatori presenti partecipano allo show, la band è perfetta e canzoni come "Roundabout", "Heart of the sunrise" e "America", prendono forma e vigore donando ancora una volta che quel non so che di folle e mistico, che solo il progressive rock vero, sa dare ai propri fans. Grazie Yes.
Roberto Bruno